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GIORGIO PIGHI

CULTORE DELLA MATERIA
Dipartimento di Giurisprudenza
Docente a contratto
Dipartimento di Giurisprudenza


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Pubblicazioni

2020 - Intervista sulla monografia "Sicurezza urbana integrata e sistema punitivo" [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Trattasi di intervista rilasciata a Letture.org sulla monografia dell'autore "Sicurezza urbana integrata e sistema punitivo". Sulla rilevanza del tema viene osservato che la sicurezza urbana, «bene pubblico» secondo la l. n. 48/2017 «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città», consiste nel «benessere delle comunità territoriali», da perseguire integrando tra loro gli interventi dei diversi soggetti istituzionali. Convergono nel sistema – sicurezza quelli proattivi che trasformano, migliorano e innovano relazioni e convivenza e quelli reattivi, di carattere punitivo. Tratto caratterizzante delle norme e delle politiche di sicurezza urbana è inevitabilmente la continua dialettica tra ragioni fondanti e difficoltà applicative. Queste ultime emergono quotidianamente nel costruire, con modalità integrate e sinergiche, come una sola prevenzione, quella a cui mirano sicurezza pubblica e sicurezza sociale, mettendole in grado di superare gli ostacoli ai quali vanno incontro nel realizzare modalità coerenti, articolate e stringenti, guidate dalla legge, rendendole forti quanto basta per vincolare gli «attori» pubblici al perseguimento dei vantaggi olistici delle azioni integrate, più efficaci e risolutive e meno conflittuali della somma degli interventi singoli.


2020 - Le trasgressioni alle misure per contrastare il Coronavirus: tra problema grave e norma penale simbolica [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Le «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19» (d.l. 23 febbraio 2020, n. 6), assieme ai previsti d.p.c.m. e provvedimenti regionali, rappresentano il quadro normativo per fronteggiare criticità e bisogni urgenti completamente nuovi, in presenza di rimedi ancora incerti contro l’insidiosa malattia. La locuzione ampia, per cui «le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica» comporta un gran numero di obblighi e divieti in aggiunta a quelli previsti nella fonte primaria. La scelta di perseguire ai sensi dell’art 650 c.p. la violazione, in bianco, del ricco e articolato insieme di misure, punendole in modo indifferenziato, manifesta un uso ipertrofico, generalizzato e indifferenziato della norma penale e finisce per coinvolgere, senza selezione preventiva, anche la violazione di prescrizioni di scarso rilievo o che potrebbero comportare più efficaci sanzioni amministrative. Il richiamo all’art. 650 c.p. fa propendere per il riferimento esclusivo alle pene, non al fatto tipico che, nel nuovo reato, presenta differenze importanti rispetto alla norma richiamata. L’ingolfamento degli uffici giudiziari per le denunce che saranno inoltrate appare preoccupante, già nella primissima fase applicativa. Non tutte le prescrizioni in questione integrano in modo automatico «misure di contenimento» poiché, ragionevolmente, il contenuto va ricollegato alla loro operatività, al carattere imperativo e non di raccomandazione, al fine specifico perseguito dalla legge di contrastare il Coronavirus e al principio di offensività nella sua proiezione concreta. Quest’ultimo impone di escludere il reato nelle violazioni prive di potenzialità lesiva del bene giuridico tutelato, con evidenza la salute pubblica, o che non comportino aggravamento del rischio di diffusione del contagio, o che consistano in mere deviazioni da singoli profili di disciplina, quando la sfasatura dal pieno rispetto della misura sia innocua o non raggiunga effettiva significatività.


2019 - La nuova disciplina della sicurezza urbana integrata: tra prevenzione dei reati e coesione sociale [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Il nodo problematico della sicurezza urbana integrata, sospinto dal dibattito pubblico, a partire dalla coda del Novecento, ha spesso rischiato di ridursi alla contrapposizione tra favorevoli e contrari al rafforzamento della sanzione penale per contrastare il disordine urbano, e alla ridefinizione degli strumenti, prevalentemente reattivi, per ovviare a quanto crea disturbo e inficia la vivibilità nei contesti urbani. Nelle città europee e italiane in particolare stava diffondendosi una nuova e impellente insicurezza diffusa. L’irrinunciabile esigenza di confermare il ruolo di ultima ratio al sistema penale, in funzione della significatività del bene giuridico e della rimozione delle cause del delitto perseguendo la finalità rieducativa della pena, faticano a interloquire con l’esigenza, altrettanto irrinunciabile, di rafforzare il controllo sociale per prevenire il danno sociale della criminalità e, più in generale i processi degenerativi che inficiano vivibilità, convivenza e relazioni concretizzando l’insicurezza urbana. Il diritto penale è strumento largamente inefficace per intervenire su questo terreno, ma il semplice ribadirlo non è appagante se le istituzioni non si fanno carico della contraddizione che viene resa esplicita: la sicurezza urbana non è compromessa soltanto dal disordine sociale, ma anche dai fatti criminosi che, oltre all’offesa del bene giuridico, cagionano danno sociale diffuso.


2019 - Sicurezza urbana integrata e sistema punitivo [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

Il «bene pubblico» della sicurezza urbana, secondo la l. n. 48/2017 «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città», consiste nel «benessere delle comunità territoriali», da perseguire integrando tra loro gli interventi dei diversi soggetti istituzionali. Convergono nel sistema - sicurezza gli strumenti reattivi di carattere punitivo e gli interventi proattivi che trasformano, migliorano e innovano le relazioni e la convivenza. Lo studio si interroga su ragioni fondanti e criticità applicative della prevenzione sinergica tra sicurezza pubblica e sicurezza sociale e sugli ostacoli ai quali il coordinamento va incontro, per essere coerente, articolato e stringente, guidato dalla legge, e risultare sufficientemente forte per vincolare gli «attori» pubblici ai vantaggi olistici delle azioni integrate, meno conflittuali e più efficaci della somma degli interventi singoli. Il legislatore, nonostante le resistenze, sta acquisendo la consapevolezza che il controllo sociale, per essere capace di contrastare la vittimizzazione diffusa e il disordine urbano, comporta interventi sinergici dello Stato di diritto e dello Stato sociale, ma non fa prevalere il carattere sussidiario delle sanzioni, alle quali ricorre, spesso in modo esclusivo, per fronteggiare fenomeni dall’eziologia articolata, riducendole così a reazioni «simboliche» e poco attente alle cause. La legge sulla sicurezza urbana fornisce importanti punti fermi per le politiche integrate, ma delinea in modo ancora inadeguato le «forme di coordinamento» possibili coi patti per la sicurezza; enuncia i compiti di Conferenza unificata e Conferenza stato - città ma trascura il ruolo fondamentale delle regioni nelle politiche di sicurezza sovracomunali; rafforza i divieti di «stazionamento» col Daspo urbano ma non si fa carico delle persone che li violano; non adegua pienamente i regolamenti comunali di polizia e di sicurezza urbana e le ordinanze del sindaco ai richiami della Corte costituzionale su «modalità» legali di obblighi e divieti a garanzia della libertà personale; non affronta compiti e funzioni della polizia locale, che andrebbero riscritti da capo. La riflessione giuridica, partendo dai passi compiuti, è chiamata ad approfondire il nodo del coordinamento voluto dall’art. 118 co. 3 Cost. contribuendo a delineare politiche integrate di sicurezza urbana orientate costituzionalmente, in un sistema che riservi compiti residuali alle sanzioni, in base ai vincoli costituzionali di sussidiarietà, ragionevolezza, proporzione, offensività, colpevolezza e funzione rieducativa della pena.


2019 - Spazi e destinatari delle politiche di sicurezza urbana: la città divisa [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

I divieti locali per la sicurezza urbana hanno «potenziali riflessi sulla sfera di libertà delle persone». La costi-tuzione (art. 23 Cost.) impone che siano determinati nella legge il loro «contenuto» e la loro «modalità» ap-plicativa (Corte cost. n. 115/2011). La legge n. 48/2017 non indica modalità e criteri per garantire che le compressioni di libertà siano appropriate, proporzionate, applicate come ultima ratio e integrate equilibrata-mente con azioni proattive e strategiche. Questa caratteristica non consente interventi per la sicurezza urbana come fenomeno indivisibile, dividendo impropriamente la città e i suoi abitanti in funzione delle criticità riscontrate. Inglese: The local urban security prohibitions have “potential reflection on the sphere of human freedom”. The Con-stitution (Art. 23 Cost) requires that inside the laws the “content” and the “manner of application” must be provided (Corte Cost. n. 115/2011).The law n. 48/2017 does not dictate the manner of application and the parameters to ensure that restriction of freedom are appropriate, proportionate, considered as a last resort and balanced incorporated into pro-active and strategic policy. This feature does not allow actions for urban security as an indivisible phenomenon, instead dividing improperly the city and its inhabitants depending on the criticality encountered.


2018 - L sicurezza urbana nel prisma del sistema punitivo [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Trattasi di commento articolo per articolo al dl 20.2.2017 n. 14 convertito nella l. 18.4.2017 n. 48 recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città». La nuova legge vuole essere il punto di riferimento normativo sul controverso contributo degli enti locali, in particolare dei Comuni, alle politiche per la sicurezza urbana e per la salvaguardia della tranquillità diffusa, con particolare riguardo agli interventi di protezione da rischi, criticità, comportamenti indesiderabili e reati - soprattutto patrimoniali o violenti - che peggiorano la vivibilità, la convivenza, le relazioni e il senso di protezione individuale e collettiva delle persone che vivono nei loro territori. Le norme sulla sicurezza urbana intendono rafforzare la tutela di questa particolare condizione della vita sociale con un approccio molto diverso da quello incentrato sulla tutela dei beni proprio del diritto penale e, conseguentemente, procedono alla disciplina di istituti specifici, chiamati a occuparsi dei comportamenti umani come fonte di situazioni indesiderabili che si affiancano ai reati, il cui compito è perseguire i fatti offensivi. Per garantire la sicurezza urbana, in alcuni casi, possono essere necessarie compressioni della libertà individuale, tese non tanto a contrastare contenuti lesivi dei comportamenti, quanto a contenere i fattori critici della condizione diffusa in esame. La maggiore o minore significatività per le condizioni di sicurezza urbana, in questi casi, esprime valutazioni prevalentemente sociali di fenomeni degenerativi strutturali, come le periferie degradate, il deterioramento del patrimonio pubblico e privato per incuria e vandalismo, gli eccessi e i rischi notturni, gli abusi di sostanze, il formarsi di luoghi – rifugio per gli emarginati, gli assembramenti fuori controllo, ecc., e dunque epifenomeni di grandi contraddizioni in atto, quali l’incertezza economica che convive col benessere, il difficile inserimento delle giovani generazioni rimarcato da grandi disuguaglianze, la marginalità estrema nelle povertà e nelle migrazioni, la crisi del welfare state, le carenze e la disomogeneità delle istituzioni educative, la crisi della rappresentanza, ecc.


2018 - Sicurezza urbana e contributo "integrato" dei comuni [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

Secondo Massimo Pavarini, gli Stati moderni, e ancor più quelli di sviluppato Stato sociale di diritto si sono legittimati come capaci di garantire la sicurezza interna, cioè la sicurezza nazionale, nel governo repressivo e preventivo dei conflitti. Altrettanto deve dirsi per il governo preventivo e repressivo delle condotte, degli attori e delle situazioni avvertite co-me capaci di minacciare la sicurezza sociale che danno vita allo Stato sociale di diritto come Stato della prevenzione. Tutto questo, tuttavia, attiene al «dover essere » che rappresenta una «promessa della modernità, sovente non mantenuta».La significativa novità del governo del bene pubblico della sicurezza, prosegue Pavarini, è oggi la specificazione del «locale» contro il «nazionale ». Il monopolio statale della sicurezza «viene sovente declinato anche - sia pure non esclusivamente - a livello locale». Dalla crisi dell’egemonia statale è conseguito che le cause dei nuovi conflitti non sono più governabili a quel livello, mentre i loro effetti, in termini di sofferenza, disagio, costi sociali e paura, tendono sempre più a dimensionarsi e specificarsi in ragione delle concrete variabili locali presenti, con la conseguenza che «la natura degli effetti è sempre più in ragione della dimensione locale all’interno della quale il conflitto determina insicurezza». I nuovi conflitti si producono pertanto in una dimensione sempre più distante da quella in cui determinano i loro effetti a livello d’insicurezza oggettiva e soggettiva, come appare palese, primo fra tutti, nel fenomeno migratorio.Le condizioni più favorevoli per la sicurezza urbana si realizzano quando i contributi di più attori istituzionali e di più politiche, che mantengono la loro individualità, sono valorizzati ed integrati nella condivisione degli stessi obiettivi e messi in condizione di realizzare le necessarie convergenze. Gli obiettivi comuni di attori e politiche devono perseguire il collegamento di funzioni diverse e costruire la sintesi programmata degli obiettivi, per risultare più efficaci rispetto alla somma delle pur appropriate azioni di ciascuno, e devono essere capaci di coinvolgere l’apporto delle altre istituzioni, non limitandolo, come spesso avviene, a quello indispensabili per affrontare i singoli problemi.


2015 - Illecito amministrativo, divieti locali e sicurezza urbana. Dall'evoluzione tormentata agli sviluppi possibili [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L’articolo mette a fuoco la particolare figura di illecito amministrativo che persegue le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze locali. Seguendo le indicazioni della Corte costituzionale sulla riserva di legge e sulla specificità locale viene considerata necessaria la sua riforma per renderlo sussidiario ed adeguato. In conclusione l’articolo indica a modello un illecito amministrativo teso a rafforzare la sicurezza urbana, a favorire le politiche integrate, attento all’evoluzione dei disvalori ed a favorire la riparazione del danno, capace di fare prevenzione coniugando la sanzione con le buone prassi e le regole informali di convivenza.


2015 - Un nuovo scenario di violazione dei diritti del fanciullo: i minori stranieri non accompagnati [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Fra gli scenari di violazione dei diritti del fanciullo si impone il problema dei minori stranieri non accompagnati (msna). La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, prevede (art. 8) che gli Stati parti si impegnino a rispettare il diritto a preservare identità, nazionalità, nome e relazioni familiari, come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. Il fanciullo illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi ha diritto ad adeguata assistenza e protezione per ristabilire la sua identità il più rapidamente possibile. L'art 9 prevede che gli Stati parti vigilino affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. La convenzione dispone inoltre che gli Stati parti rispettino il diritto del fanciullo, se separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti con essi .Nella legislazione italiana sono presenti alcune lacune che diventano terreno fertile per interpretazioni scorrette ed incerte, fonte di inevitabili contenziosi che nuocciono al buon funzionamento dell’attività delle diverse istituzioni a favore dei msna. La materia dell’immigrazione è di competenza statale (art. 117 lett. b Cost.) in un quadro di coordinamento normativo(art. 118 c. 3). Lo Stato è competente a determinarne i soli livelli essenziali delle prestazioni sociali (art. 117 lett. m ), mentre per ogni altro profilo è riservato alle regioni (art. 117 c. 4). Lo Stato deve perciò farsi carico dei costi dell'accoglienza dei msna, definire i livelli essenziali del sistema chiamato a realizzare sui territori gli interventi di protezione e di integrazione, coordinarsi con le regioni e salvaguardare le loro competenze e quelle delle autonomie locali in materia di interventi sociali. Il contenzioso e l'incertezza giurisprudenziale sono emblematici della mancata realizzazione di un sistema di competenze chiare e conformi alla Costituzione.


2014 - Audizione nella Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame delle proposte di legge in materia di cittadinanza. [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

L'acquisizione della cittadinanza italiana è caratterizzata dalla grande trasformazione qualitativa e quantitativa che il fenomeno ha mostrato negli ultimi anni e dagli "effetti profondi che questa trasformazione determina sulle dinamiche civili e anche sotto il profilo istituzionale all'interno delle amministrazioni comunali". I dati aggiornati, ora diponibili, segnalano che "da qualche anno in Italia ... il numero di acquisizioni di cittadinanza per residenza ha superato quello di persone che diventano italiane a seguito di matrimonio" e che "le acquisizioni per motivi diversi dalla residenza o dal matrimonio ... riguardano soprattutto minori che diventano italiani per trasmissione del diritto dei genitori e persone che, nate in Italia, al raggiungimento della maggiore età, hanno i requisiti e richiedono la cittadinanza italiana". "Nell'ultimo anno sono state 19.381 le acquisizioni che hanno riguardato queste ultime categorie; oltre 16.000, in questo contesto, quelle che hanno riguardato i minori. Qui siamo in presenza di una vera e rapida trasformazione delle dinamiche sociali". nell'autunno del 2005 è stato elaborato il progetto di legge ordinaria «Norme per la partecipazione politica ed amministrativa: il diritto di elettorato senza discriminazioni di cittadinanza e nazionalità». Il progetto propone l'estensione del diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da almeno 5 anni. La proposta di riforma nasce dalla considerazione che la partecipazione dei cittadini alla vita civile delle comunità di residenza non possa essere garantita senza il diritto di voto. La sensibilità degli amministratori locali su questi temi cresce in misura proporzionale alla crescita del fenomeno migratorio e risponde all'esigenza di vedere colmato quel vuoto di legittimazione di fronte alla presenza di persone pienamente attive nella vita sociale ed economica della città, che però non dispongono di strumenti per rappresentare le proprie esigenze, primo tra tutti il diritto al voto.


2014 - I Comuni sulla strada che porta all'integrazione [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La popolazione straniera presente regolarmente in Italia è giunta a più di cinque milioni di persone, quasi un terzo provenienti dall'UE e più di metà presenti in Italia da più di cinque anni. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo (Sprar) ed il Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati hanno consentito di costruire progressivamente un sistema unico di accoglienza rivolto ai soggetti che hanno diritto alla protezione internazionale ed ai minori, comunque tutelati in ragione dell'età. La Legge 189/2002 in materia di immigrazione e asilo istituisce all'art. 32 - 1 sexies, di modifica alla legge 28 febbraio 1990, n. 39 art 1, il Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Il Servizio, attivato dal Ministero dell’Interno, è affidato all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). La sperimntazione, negli anni, del sistema Sprar e, più recentemente, del Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati ha permesso di realizzare modelli di gestione dei flussi migratori e veri e propri laboratori per l'integrazione. Grazie all'eccezionale risultato dell'ampliamento da tremila a sedicimila posti della capacità recettiva ordinaria dello Sprar possiamo finalmente ragionare in termini di sistema unico di accoglienza, che valorizza il sistema di buone prassi realizzato progressivamente dai Comuni.


2014 - La sicurezza urbana indivisibile. Le politiche locali di prevenzione integrata [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

Lo Stato, le Regioni e i Comuni devono costruire un forte partenariato per la sicurezza. È urgente disciplinare la sicurezza urbana nel suo carattere indivisibile ed assegnare alle politiche di prevenzione lo spazio loro proprio, costruendo politiche integrate di sicurezza che prefigurino un leale partenariato, capace di coniugare competenze e sinergie e di dare slancio a una corresponsabilità non episodica, che affronti la sicurezza urbana nel coordinamento. Le leggi e le politiche italiane sulla sicurezza urbana sono state finora scarsamente efficaci a causa di scelte affrettate, parziali ed emotive che hanno privilegiato interventi autoreferenziali e incapaci di incidere sui fenomeni complessivamente intesi. Il carattere indivisibile della sicurezza urbana non è indicato come requisito dalla legge ed è spesso disatteso, tanto che le norme, di volta in volta introdotte, anziché delineare un sistema, si limitano a dare vita a nuove figure criminose, a nuovi istituti, ovvero a concretizzare scelte di deterrenza simbolica per contrastare singoli fenomeni come migrazioni illegali, prostituzione, tifoserie problematiche, abuso di alcool e tossicodipendenze. Gli interventi che non fanno parte di un sistema di rimedi non potranno essere incisivi e risolutivi sulla società insicura, non riescono ad articolare efficacemente i diversi strumenti di contenimento. La mancanza di norme adeguate ha accresciuto, per reazione, il bisogno di cambiamento che si manifesta come una forte spinta dei Comuni a coordinarsi con l'azione dello Stato - che deve garantire la sicurezza pubblica - per dare incisività al controllo sociale dell'intero spazio della vita sociale, aumentare la coesione nella convivenza, costruire un ambiente urbano che non crea insicurezza perché sostenibile ed a misura d'uomo. Se la sicurezza urbana continuerà a restare riipartita fra "attori" diversi non sarà possibile superare le difficoltà che ostacolano la sinergia tra impostazioni e tra funzioni che, per troppo tempo, non sono riuscite a convergere adeguatamente nelle risposte al problema. Il partenariato per la sicurezza, come sta avvenendo in molti Paesi europei deve reggersi su di una disciplina della sicurezza urbana che ne valorizzi il carattere indivisibile ed assegni alla prevenzione lo spazio che le compete, fatto di buone pratiche e politiche mirate. La «sicurezza urbana integrata» deve assurgere ad obiettivo e metodo di azioni di contenimento orientate costituzionalmente, tese a prevenire i comportamenti indesiderabili che maturano nella quotidianità della vita delle città, mediante un sistema che articoli coerentemente gli interventi di istituzioni, soggetti pubblici e formazioni sociali che rimangono ordinati secondo funzioni, organizzazioni ed impostazioni differenti. Il sistema, oltre a prefiggersi il superamento della scarsa omogeneità e delle spinte autoreferenziali dei diversi “attori”, deve orientare tutte le azioni funzionali allo scopo verso la sicurezza urbana, senza ridurla ad elenco di disvalori e criticità da sanzionare ma valorizzandola come obiettivo da raggiungere e condizione da mantenere, mediante una pluralità di strumenti indicati dalle leggi. Scopo di tali politiche è armonizzare l’insieme degli interventi, superare distanze, differenti linguaggi e mancanza di sedi di confronto per valorizzare il contributo di quanti sono chiamati a costruire una comune prevenzione. Per questo la sicurezza urbana deve rappresentare una realtà indivisibile.


2014 - Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Sez. I - Il minore e l’ordinamento penale. – 1. Considerazioni preliminari. ¬- 2. Dimensione europea e nazionale della delinquenza giovanile. La tutela dei giovani - 3. Il diritto penale minorile. – 4. Le indagini sulla personalità del minore. - 5. L’imputabilità dei minorenni nel sistema italiano. – 6. La maggiore età penale nei Paesi europei – 7. L’accertamento della maturità. – 8. Il minore imputabile e le conseguenze penali del reato. – 9. I provvedimenti per i non imputabili: le misure di sicurezza. - 10. Inciviltà, disagio urbano e regole di comportamento. Il minore e l’illecito penale amministrativo Sez. II - Il sistema sanzionatorio minorile. – A) Il minore autore di reato secondo i principi costituzionali. – 1. Le finalità della pena a tutela del giovane cui è applicata – 2. La prevenzione speciale e la differenziazione dell’intervento sui minori - B) L’integrazione degli interventi sociali con quelli penali. – 1. La “mediazione” fra autore e vittima – C) L’intervento penale senza la condanna. - 1. L'irrilevanza del fatto. – 2. La prognosi favorevole: il perdono giudiziale. - 3. La sospensione del processo con messa alla prova. – D) Il primato della prevenzione speciale in caso di condanna. - 1. L'attenuazione dell’intervento punitivo. – 2. Il trattamento differenziato nell'esecuzione della pena. Sez. III - Il sistema preventivo minorile. – 1. L'evoluzione delle misure “amministrative” minorili. – 2. La discutibile prospettiva del sistema preventivo come alternativa a quello penale minorile. – 3. La conferma del sistema penale e preventivo ed il suo rilancio. La “violenza negli stadi” ed il rischio di coinvolgimento in attività criminose. – 4. L'intervento istituzionale: la comunità d’accoglienza (Casa di rieducazione). – 5. L'intervento sul territorio: la libertà assistita. Sez. IV - Conclusioni - Il minore nella riforma del codice penale


2014 - Presentazione del V Rapporto Anci/Cittalia "I minori stranieri non accompagnati in Italia" [Prefazione o Postfazione]
Pighi, Giorgio
abstract

I minori stranieri non accompagnati sono aumentati del 98,4% negli anni 2011 - 2012, periodo di riferimento del V Rapporto Anci-Cittalia e sono oggi oltre novemila in totale. La maggior parte sono maschi e provengono da Paesi africani, dal Bangladesh e dall’Afghanistan, anche se da fine 2013 sono in altissimo aumento i soggetti siriani. Il V rapporto Anci-Cittalia sui minori stranieri non accompagnati in Italia presenta il quadro del fenomeno in base ad un'indagine sui Comuni che rappresentano oltre il 70% della popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2012. Nel rapporto emerge l’incremento di presenza nei comuni di medie e piccole dimensioni che si affiancano alla predominanza delle città metropolitane. Il Rapporto sottolinea che ''i minori non accompagnati rappresentano sempre piu' una componente del più vasto fenomeno migratorio ma, più specificamente, della migrazione di categorie particolarmente vulnerabili''. Si evidenzia con forza l'esigenza di un sistema nazionale che ottimizzi gli interventi per assisurare standard omogenei, fino a giungere ad un sistema unitario con quello riguardante i richiedenti asilo (Sprar), basato sull'adesione volontaria dei Comuni, affiancato dalla garanzia di dare copertura integrale al fenomeno, costruito come un circuito di accoglienza specializzato, che comprenda sia i minori richiedenti asilo sia gli altri già protetti dalla legislazione italiana in quanto minori.


2013 - Audizione alla Commissione bicamerale sulle povertà. Minori stranieri non accompagnati: la posizione dei Comuni italiani [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Il numero dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia è rimasto stabilmente alto nell’ultimo decennio, attestandosi, mediamente, attorno alle 7.000 unità annue. Attualmente, in base alle segnalazioni del Dipartimento immigrazione del Ministero del lavoro emerge una presenza di 8.655 unità al 30 novembre 2013. Sono dati confermati anche dall’ultima rilevazione effettuata dall’ANCI su tutti i comuni italiani, che evidenzia come nel 2012 i servizi sociali abbiano attivato interventi di accoglienza e protezione per oltre 9.000 soggetti. Si tratta di minori che arrivano da Paesi di provenienza molto diversi tra loro, in prevalenza maschi diciassettenni, anche se non mancano infraquattordicenni, per i quali si richiede l’attivazione di servizi che tengano conto della loro particolare fragilità. Nonostante le diverse modalità di arrivo, siamo chiaramente di fronte a una presenza che si è mantenuta costante negli ultimi anni. Gli interventi necessari per questa tipologia di minori vanno ricondotti ad un quadro di ordinarietà, uscendo definitivamente da una logica di tipo emergenziale. Quanto all’entità delle risorse per i minori stranieri non accompagnati va rilevato che esse ammontano a 5 milioni di euro per il 2012, con cui sono stati destinati 20 euro pro capite pro die come contributo esclusivamente all’accoglienza dei nuovi ingressi a cui vanno aggiunte le risorse destinate all'accoglienza per i minori non accolti. Ad oggi tali risorse non sono state ancora erogate. I minori stranieri non accompagnati fanno parte di un sistema rivolto a tutti i minori, e quest’impostazione deve misurarsi "con la specificità del fenomeno assolutamente disomogeneo, non tanto nei numeri complessivi per anno … ma per come esso impatta sul territorio. Nel momento in cui si intercetta il minore non accompagnato occorre provvedere immediatamente - in quel momento - essendo allora che si evidenziano tre profili di criticità a causa della disomogeneità: (1) Occorre pensare a regole omogenee per i minori stranieri non accompagnati dal momento dell’arrivo a quello dell’integrazione … in obbedienza comunque al dettato che troviamo ricorrente in tutte le convenzioni internazionali, per cui il minore deve essere accompagnato in un luogo sicuro e in tempi rapidi. (2) Inoltre, occorre che la ripartizione del carico, prima ancora di quella dei costi, avvenga in termini di equilibrio tra i diversi territori. Non si può lavorare, soprattutto quando si tratta di sbarchi, solo sul luogo di arrivo. Sappiamo, infatti, come questo dato non corrisponda al futuro di questi minori, ma rappresenti un dato di per sé importante, che però non risolve tutte le criticità, ma deve affrontare solo quelle della prima emergenza. (3) Il terzo elemento è l’individuazione di sistemi di finanziamento che evitino le difficoltà in cui incorrono i comuni che si trovano ad avere in carico i minori”.


2013 - Le locazioni ed i cittadini extracomunitari: la cessione onerosa di alloggio a migranti irregolari [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
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Il delitto di Cessione onerosa di alloggio a migranti irregolari inserito (2008) all'art. 12, comma 5 bis del Testo unico sull'immigrazione (D. lgs n. 286/1998) si caratterizza come risposta "simbolica" tesa a rafforzare la "deterrenza" verso i proprietari di immobili ed a creare "isolamento" del moigrante privo di permesso di soggiorno. Lo scopo della norma è contrastare l'immigrazione senza titolo attravaero la prevenzione generale indiretta, esercitata con un reato che presuppone come già avvenuta la lesione del bene finale attraverso l'ingresso clandestino e rende difficoltosa la presenza in Italia. Sono evidenziati i limiti di una fattispecie fortemente selettiva nei confronti dei migranti rispetto a tutte le altre persone.


2013 - Mafie e prevenzione [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Qualunque disegno di riforma della normativa in tema di mafie deve proiettarsi in direzione della prevenzione e repressione di tutte le condotte di fiancheggiamento e di agevolazione tipiche della “borghesia mafiosa”, e deve prevedere l’incommerciabilità di ogni utilità che derivi dalla commissione di reati di mafia, di reati attinenti al traffico di stupefacenti e del reato di riciclaggio. Si dovrebbero, innanzitutto, configurare, partendo da una prospettiva di tutela avanzata, dei modelli di reato di pericolo presunto, relativi allo “scambio funzionale”, che prevedano la punibilità del già solo mettersi a disposizione di un’associazione mafiosa o di ogni accordo intercorrente tra un soggetto e la stessa, in base al quale si prometta una prestazione in cambio di un’utilità. Si dovrebbero, poi, introdurre delle fattispecie di reato di evento o di pericolo concreto, strutturate come reati propri per le categorie professionali, per quelle economico – imprenditoriali, per quelle attinenti a pubbliche funzioni. Fattispecie da imperniarsi sullo stravolgimento funzionale. Il bene giuridico tutelato – ordine pubblico – si dovrebbe specificare nell’interesse allo svolgimento corretto della funzione pubblica o dell’attività privata e, quindi, nelle finalità ordinamentali che il corretto esercizio di tali funzioni e attività intende perseguire. A tale fine, i temi che il legislatore dovrebbe affrontare sono quelli dell’identificazione delle categorie destinatarie di tali fattispecie, della delineazione delle condotte vietate, della definizione dell’evento, dell’indicazione dell’elemento soggettivo richiesto (dolo). Le condotte vietate dovrebbero consistere nell’uso distorto del potere o della facoltà (innanzitutto attraverso la violazione degli obblighi o dei doveri connessi al loro esercizio), al fine del raggiungimento di uno scopo diverso da quello per il cui conseguimento il potere o la facoltà stessi sono stati attribuiti dall’ordinamento. Si tratterebbe, quindi, di configurare fattispecie di abuso. Gli eventi dovrebbero essere costituiti dall’agevolazione di un’associazione e dal conseguimento di un ingiusto vantaggio, anche non patrimoniale, proprio o altrui (rendendosi così configurabile anche il tentativo). In alternativa, il fine del conseguimento di un ingiusto vantaggio come qui descritto potrebbe essere delineato come elemento di dolo specifico.


2013 - Mass media e processo [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Il portare alla conoscenza di tutti le attività processuali risponde ad un’esigenza di garanzia. La possibilità di controllo da parte dell’opinione pubblica sullo svolgimento di un processo penale ha costituito un notevole passo avanti nell’evoluzione del sistema delle garanzie rivolto al rispetto della persona. Alla funzione di garanzia si accompagna una funzione di prevenzione generale: la conoscenza della capacità dello Stato di reprimere, attraverso un giusto processo, i comportamenti devianti costituenti reato rafforza la sua legittimazione come garante dell’ordine pubblico e della sicurezza personale e opera come deterrente nei confronti della collettività. La soddisfazione di queste due funzioni trova un limite nell’esigenza di tutelare il segreto su atti d’indagine, al fine di non comprometterne l’esito e nell’esigenza di rispettare la sfera privata delle persone coinvolte nel procedimento da qualunque pubblicazione che sia inutilmente invadente. Il legislatore e la giurisprudenza sono alla continua ricerca di punti di equilibrio che siano idonei a contemperare tutte le funzioni e tutti i beni implicati. Appare praticabile la strada della "disciplina" della materia attraverso la redazione di un protocollo per dare contenuto puntuale al nodo applicativop dell’esercizio del diritto, che articoli il criteri per definire il carattere diffamatorio individuando quanto sia legittimo pubblicare. La ricca giurisprudenza fornisce i criteri applicativi e funge da punto di riferimento. Si potrà, così, regolamentare in modo più specifico cosa sia esigibile in relazione al controllo della verità della notizia, fino a quale limite ci si debba spingere nella verifica e quali atti siano accompagnati da una presunzione di attendibilità, la conoscenza di quali fatti debba essere comunque ritenuta di interesse pubblico.


2013 - Presentazione del Rapporto annuale 2013 del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
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In Europa le domande di protezione internazionale sono aumentate del 10% nel corso dell’ultimo anno. Oltre il 56% delle domande sono state inoltrate in Francia, Germania e Svezia. Nello stesso periodo di riferimento tali domande, in Italia, sono state poco più di 17.300, circa 20.000 in meno rispetto al 2011. Quanto a domande di protezione internazionale l’Italia si colloca, nel 2012 tra i Paesi quantitativamente meno significativi, mentre nella prospettiva della “risposta” si evidenzia l’alta percentuale di riconoscimenti di "protezione" intesa in accezione ampia, in quanto ha raggiunto il 73,5% l’esito delle domande accolte dalle commissioni territoriali, su di un totale di 29.969 istanze esaminate nel corso del 2012. Al 6,8% è stato riconosciuto lo status di rifugiato, al 15% la protezione sussidiaria ed al 51,6% è stato proposto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Dal Rapporto emerge che nel 2012 è cresciuto il numero di rifugiati e richiedenti asilo accolti nella rete degli enti locali che ha riguardato 7823 beneficiari, 225 persone in più rispetto al 2011 a fronte di un totale di 3.979 posti di accoglienza finanziati nel 2012. Ricade principalmente sui comuni la responsabilità delle dinamiche di accoglienza ed integrazione delle persone titolari di protezione internazionale, perché è sui singoli territori che l’inserimento socioeconomico si attua e si stabilizza. Il Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, grazie alla capillarità della rete nazionale ed alla centralità dell'apporto dagli enti locali, ha raggiunto un riconosciuto consolidamento in termini di ottimizzazione delle risorse, di approccio complessivo verso la persona e di intervento integrato dei sistemi di welfare locali. Il modello attuato dal Sistema di protezione, così come le buone pratiche emerse da molteplici esperienze cittadine di assistenza e supporto a migranti - economici e forzati - costituiscono risposta appropriata per contrastare i rischi di esclusione sociale ed emarginazione e per favorire i percorsi di inserimento che sviluppino una cultura di accoglienza, attraverso l'informazione, la condivisione e conoscenza presso le comunità.


2012 - Nuove emergenze se la società cambia [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La trasformazione delle dinamiche sociali a livello europeo, nazionale e locale determina l'esigenza di reimpostare il metodo col quale affrontatre i nuovi problemi di sicurezza urbana sotto diversi profili: le modalità del controllo sociale, il maggiore protagonismo dei Comuni e delle realtà locali, il ruolo della cittadinanza attiva e dell'educazione alla legalità. La sentenza 115 del 2001 della Corte costituzionale sottolinea l'inadeguatezza della nozione di sicurezza urbana introdotta nel 2008 in quanto, così configurata, è esclusivamente incentrata sulla sua "parte" che attiene alla sicurezza pubblica. Mancano del tutto gli sviluppi della sicurezza urbana che la caratterizzano su politiche locali che si muovano nel senso indicato, rivolte ad interventi che non si esprimono in termini di controllo sociale di contenimentio e contrasto, ma attraverso un'intensa azione preventiva. Occorre ripartire da contenuti e funzione dei Regolamenti di polizia urbana, accentuando la loro vocazione ad accompagnare l'attività di amministrazione diretta, superando la disciplina obsoleta del R.D. del 2011 e seguendo le indicazioni della Corte sull'articolazione delle norme di rilevanza locale, sotto la copertura della riserva relativa di legge richiesta dall'art. 32 Cost. Occorre poi procedere secondo l'indicazione dell'art. 118 c. 3 Cost., che chiede coordinamento tra i diversi livelli istituzionali, mettendo in valore la sinergia che tale regola determina come caposaldo della riforma della polizia locale, chiamandola a farsi garante verso i cittadini e la comunità, sia della sicurezza pubblica, sia della polizia amministrativa locale.


2011 - Diritto penale, azione amministrativa e bisogno di nuove risposte sulla sicurezza urbana [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
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Tutela dei beni giuridici e protezione dal rischio urbano segnano una forte evoluzione, pongono la "questione sicurezza" al centro di un processo di ridefinizione ed impongono sia la ricerca di nuovi strumenti, sia la costruzione di rapporti più stretti fra l'azione di contrasto dello Stato ed il sistema di protezione sociale diffusa, per dare vita alle politiche integrate di sicurezza. La sicurezza urbana si presenta come esigenza della vita delle persone e delle comunità per le relazioni, la convivenza, la coesione sociale. I nodi da sciogliere per individuare il ruolo dei Comuni sono l'extrema ratio nel ricorso al reato ed alla pena e l'individuazione di strumenti che correggono le criticità prescindendo da essi. Occorre evitare la deformazione securitaria ed incidere, con l'azione preventiva, su inciviltà, disturbo e degrado attraverso il coinvolgimento dei Comuni resi capaci di rispondere in maniera puntuale alla domanda "oggettiva" di maggiore vivibilità. Questo deve avvenire assecondando le loro funzioni tipiche ed impedendo che le diverse azioni sulla qualità della vita urbana siano inefficaci contro l'insicurezza perchè il Comune non può assumere, contro di essa, alcun ruolo significativo. Il governo congiunto di prevenzione del rischio urbano e politica criminale conferisce alla sicurezza caratteristiche di uniformità che consentono interventi appropriati perché calibrati e non legati alla sola emergenza. Sino ad oggi le Istituzioni locali hanno dovuto "inseguire" l'esigenza di sicurezza e subire più che governare i programmi e le azioni rivolti ad affrontare il fenomeno, nel costante conflitto fra appropriatezza e consenso. IL coordinamento voluto dalla Costituzione, il ruolo delle Regioni e l'attivismo dei Comuni impongono più stretti legami tra politiche di integrazione, politica criminale e coesione sociale. L'evoluzione dei rapporti i ha trasformato il qiuadro della convivenza e coinvolge un insieme più ampio di situazioni che portano, oltre alla sensazione diffusa, alla spinta rivendicativa di intere comunità che sentono messa in discussione la quotidianità, percependo il rischio di rimanere ai margini di una società che rende vacillanti acquisizioni ritenute definitive. Le letture diversificate dei fenomeni portano a confrontarsi due diverse sensibilità: quella che si livella sui divieti e sul contrasto e quella che vede nella ricostruzione dei legami sociali fra le persone la prospettiva di una sicurezza urbana attenta a rispondere ad un bisogno diffuso.


2011 - La paura: uno strumento politico attuale [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
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La perdita di credibilità dei sistemi di controllo sociale induce a temere che l'assommarsi delle garanzie, dell'umanizzazione delle pene e del reinserimento delle persone condannate indebolisca gli strumenti che inducono al rispetto delle norme, e questo determina ondeggiamenti ed arretramenti rispetto alle conquiste raggiunte dai sistemi penali umanizzati.Non si può sostenere come fanno i fautori della "tolleranza zero" che abbia efficacia un sistema che minaccia pene che fanno paura per ogni sorta di divieto. Solo per i crimini gravi e quelli che riguardano offese ai beni giuridici importanti la minaccia di pena che incute paura non si porta dietro controproducenti conseguenze e si mantiene in un quadro di equilibrio e di ragionevolezza. Con l'insicurezza urbana della società contemporanea i cittadini vedono aumentare le loro paure e la rappresentanza politica cerca di interpretare la nuova situazione, dando vita a due diverse forme di sicurezza. Quella incentrata sul welfare state che si fonda sul senso di appartenenza sociale e che produce sicurezza in quanto crea solidarietà e quella che induce aspettative fondate sulla risposta puntiva e cioé sulla paura. In rapporto ai temi della sicurezza urbana la paura che prende forma sul rischio sociale ha davanti a sé le due strade del sistemna di protezione e prevenzione e del sistema penale che devono trovare equilibrio. La paura è espressione del disagio profondo presente nella società in cui il fallimento delle aspettative ricade interamente sulle spalle dell'individuo, fino a fare coincidere le prospettive soggettive del governo della paura con quelle oggettive del governo della sicurezza.


2011 - Magistratura flessibile [Altro]
Pighi, Giorgio
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Il mantenimento di una presenza diffusa di Tribunali e Procure sul territorio nazionale è utile per ridurre gli “spazi” periferici, evitare “marginalizzazioni” di zone per quanto riguarda il controllo (è probabile che in certe zone d’Italia non vi sia criminalità significativa proprio perché sin dal Medioevo vi è un controllo giudiziario diretto, costante e capillare sul territorio ed una risposta di giustizia adeguata e specifica): il contatto diretto ed esclusivo di un ufficio giudiziario con quella particolare porzione di territorio nazionale solleva il livello di attenzione dedicato alla stessa e garantisce un approccio specialistico alle sue problematiche. Ooccorre verificare se siano individuabili soluzioni che consentano di salvaguardare i vantaggi di ambedue le ipotesi, mediante l'adozione di un modello organizzativo diverso che le contemperi.Per quanto riguarda il settore penale, si potrebbe, allora, andare alla ricerca di un nuovo modello, che consenta di contemperare i benefici prodotti dal mantenimento di una strutturazione territoriale “rigida” delle circoscrizioni giudiziarie con quelli che deriverebbero dall'introduzione di un sistema “flessibile” di applicazione di magistrati/procuratori appartenenti ad un organo/ruolo utilizzabile in ambito nazionale. La soluzione potrebbe individuarsi su un piano diverso dalla riduzione mediante accorpamento di uffici giudiziari, in modo da salvaguardare i vantaggi della distribuzione capillare degli stessi sul territorio nazionale: potrebbe essere sufficiente prevedere una struttura (un ruolo) a livello nazionale, composta da magistrati/procuratori, che proceda all’applicazione, per singole indagini, di suoi appartenenti alle Procure territoriali che ne abbiano necessità: con fissazione normativa dei criteri che impongano alle Procure territoriali di formulare richiesta di applicazione in presenza delle condizioni previste.


2011 - Reati e prevenzione.L'incertzza dei profili del concorsoesterno associativo indebolisce la sua funzione [Altro]
Pighi, Giorgio
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La mancanza di rispetto delle regole in settori istituzionalmente, socialmente ed economicamente rilevanti, che interessano l'esercizio di attività imprenditoriali o professionali o quello di funzioni pubbliche, impone di porsi la domanda se la normativa attualmente vigente sia idonea a svolgere un compito di deterrenza. Per rafforzare la capacità di prevenzione generale e speciale, può essere perfezionata la disciplina, attraverso norme che meglio individuino i limiti, Attività, quelle professionali e imprenditoriali, che, se anche per loro natura indirizzate al conseguimento di interessi di tipo privatistico, devono, comunque, armonizzarsi, nel loro svolgimento, con l'interesse pubblico, ed il cui esercizio non deve porsi in contrasto con l'utilità sociale. La riformulazione della figura del concorso esterno associativo (non soltanto di tipo mafioso) s'impone per superare l'incertezza dei profili del concorso esterno che, costruita dalla giurisprudenza, va rafforzata nella sua funzione di prevenzione generale e speciale attraverso una puntuale definizione legislativa che soddisferebbe, anche, le esigenze di garanzia. Per assicurare in maniera più precisa la tutela de bene giuridico dell'ordine pubblico si potrebbero delineare fattispecie incriminatrici diversificate, strutturate come reati propri per ciascuna categoria professionale , economico - imprenditoriale o attinente a pubbliche funzioni, dando vita a tipologie imperniate sullo stravolgimento funzionale . La tutela dell'ordine pubblico dovrebbe spingersi a "specificare" l'interesse generale rappresentato dallo svolgimento corretto della funzione pubblica o dell'attività privata e, quindi a delineare in modo adeguato le finalità ordinamentali che il corretto esercizio di tali funzioni ed attività intende perseguire.


2010 - Contrasto alla criminalità organizzata e politiche di sicurezza urbana nell’esercizio delle funzioni proprie dei Comuni [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
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I fenomeni legati alla criminalità mafiosa ed organizzata si presentano con differenti modalità sulle quali i territori e gli Enti locali sono chiamati ad intervenire nel quadro delle loro specifiche funzioni istituzionali. Essa infatti assume di volta in volta il carattere •di criminalità tradizionale (pensiamo alle estorsioni sotto forma di “pizzo”, al traffico di droga, al mercato della mano d’opera irregolare, al mercato dei migranti clandestini, al traffico di prostitute, agli omicidi per il controllo del territorio, alle minacce per ottenere appalti, alle costrizioni nei confronti degli amministratori pubblici ecc.); •di criminalità in funzione di riciclaggio (che a sua volta nel nostro ordinamento integra un delitto) le cui attività consistono nel ripulire nell’economia legale il denaro proveniente da attività criminose per incanalarlo in circuiti di investimento; si tratta di flussi finanziari dotati di un’enorme forza inquinante, che si diffondono attraverso la partecipazione a gare pubbliche, l’attivazione di poco trasparenti attività di prestito, gli interventi in settori critici dell’economia attivando affari illegali come il traffico dei rifiuti, l’acquisto di attività imprenditoriali finalizzato al loro utilizzo per scopi mafiosi, l’ingresso allo stesso scopo in compagini societarie, in sintesi operazioni che consentono di pagare in contanti e di ricevere un bene o di effettuare un investimento “pulito” oppure di effettuare operazioni ci “copertura” legale di affari illeciti; •di criminalità organizzata imprenditrice che, ripulito il denaro ma non dimentica della sua provenienza, svolge attività apparentemente lecite, che spesso s’incrociano ed agiscono in stretta sintonia con quelle indicate ai punti precedenti, ma non si concretizzano necessariamente in azioni criminose o di rilievo penale pur rappresentando, paradossalmente, un vero e proprio presidio criminale nell’economia, pronto a risolverne le criticità (ricorso al credito, smaltimento dei rifiuti, recupero crediti ecc.) attraverso modalità illegali con una tempestività che sarebbe impossibile seguendo le procedure corrette e quindi con ulteriori profitti che alimentano a dismisura il circuito dell’economia malata.


2010 - Europa, Comuni, Sicurezza, Immigrazione [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
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L'A. rileva che i soli elementi significativi di innovazione intervenuti sul potere di ordinanza dei Sindaci (d. lgs n. 367/2000, art. 54) furono introdotti nel 2008, con la loro estensione ai casi ordinari oltre a quelli contingibili ed urgenti e con la previsione della "sicurezza urbana" come oggetto di tali ordinanze. Le novità hanno modificato un sistema nel quale manca completamente la disciplina della partnerschip nel rapporto fra Stato, Regioni e Comuni. Questo impedisce la costruzione di un sistema organico ed integrato che definisca, secondo le indicazioni degli articoli 117 e 118 della Costituzione, le reciproche interferenze fra Sicurezza pubblica, Polizia amministrativa locale, funzioni di polizia municipale, Patti per la sicurezza, Comitato per l'Ordine e la sicurezza pubblica, rapporti fra politiche di sicurezza e politiche sociali.


2010 - La sicurezza in città: prevenzione anticrimine e molto di più [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
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La pubblicazione della norma tecnica UNI CEN TR 14383-2 "Prevenzione del crimine attraverso la pianificazione urbana e la progettazione edilizia" impone una riflessione sul legame tra la sicurezza urbana e le città, intese come oggetto della pianificazione urbanistica e della progettazione edilizia. Sono "sicurezza" alcune situazioni dell'ambiente in cui viviamo, influenzate da fattori come l'età, il sesso, lo status sociale e, in particolare, dal contesto "costruito" nel quale i fenomeni si consumano, con particolare riguardo alla fruizione collettiva degli spazi urbani e di quelli comuni negli edifici, affiancata dalla collocazione, organizzazione e conformazione degli edifici. La norma tecnica in questione favorisce politiche di sicurezza urbana che, nell'attività amministrativa dei Comuni, tengano conto, mettendone in valore la portata, di questo insieme di opportunità del costruire e dell'abitare per valorizzare e modificare la qualità dell'ambiente urbano e delle relazioni che in esso si svilippano contribuendo a caratterizzare il vissuto delle persone.


2010 - La sicurezza urbana, il FISU e le prospettive unificanti della gestione del tema tra i diversi livelli istituzionali [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
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Il dibattito sulla sicurezza urbana rappresenta un elemento caratterizzante dell'attuale fase politica le cui ricadute sono destinate a condizionare numerosi settori dell'intervento pubblico: lo stato sociale, la scuola,l'intervento delle associazioni e del volontariato, l'organizzazione dello spazio pubblico, l'attività della polizia urbana, ecc. A quindici anni dall'avvio delle prime esperienze locali , il nodo centrale delle politiche di sicurezza urbana in Italia ruota ancora attorno alla definizione del ruolo dei Comuni ed ai relativi strumenti, a partire dalle competenze della polizia municipale. La collaborazione istituzionale chiama in causa principalmente il ruolo e le competenze di polizia amministrativa locale e la capacità di garantire ai cittadini un ambiente urbano sicuro, fondato sulla reale possibilità di di dare risposte adeguate alle criticità che si maniferstano ed in particolare nella gestione, a livello locale, di fenomeni che hanno dimensioni di scala molto più ampia. Prtendo da questi elementi di particolare forza i Comuni rivendicano un ruolo autonomo e coordinato nello sviluppo delle politiche locali per la sicurezza, intese come azioni rivolte al conseguimento di una ordinata e civile convivenza nelle città e nei territori, esercitate attraverso le competenze anche legislative delle Regioni e quelle amministrative dei Comuni.


2010 - La sicurezza urbana: il ruolo dei Comuni [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
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Sul ruolo dei Comuni nelle politiche di sicurezza urbana vi sono tre fondamentali nodi da sciogliere. Il primo è quello della polizia ministrativa locale che, dopo la riforma del quinto titolo della Costituzione, ci vede ancora privi di una legge ordinaria che tenga una funzione così delicata in equilibrio nel pericoloso oscillare tra una mera attività amministrativa ed un'attività di polizia dai confini non ben chiariti con la sicurezza pubblica. Il secondo tema riguarda la definizione di sicurezza urbana, legata alla maggiore consapevolezza che, oltre al coinvolgimnento dei Comuni nella sicurezza pubblica, è maturata la consapevolezza del loro importante ruolo nel presidiare alcuni fenomeni legati a squilibri e criticità che richiedono interventi integrati, finalizzati a governare alcuni rischi in sinergia con l'ordinaria azione amministrativa dell'ente. Il terzo profilo è quello delle ordinanze che, oltre ad una più puntuale individuazione dei contenuti della sicurezza urbana, comportano si proceda sollecitamente all'approfondimento del ruolo da attribuire ai Regolamenti di polizia urbana, che deve sciogliere anche l'asimmetria che prevede il concorso del Prefetto per le ordinanze e non per i regolamenti. Sullo sfondo si pongono due esigenze che condizionano la possibilità di sciogliere i nodi indicati La prima riguarda l'inquadramento e le funzioni della polizia locale, la cui definizione blocca il disegno di legge complessivo (Barbolini Saia) sulla sicurezza urbana e sulla realizzazione delle politiche integrate dopo le modifiche costituzionali. L'altro è quello del Sindaco Ufficiale di Governo alla cui utilizzazione nella disciplina del Testo unico sugli Enti locali pare contraddire il più appropriato ruolo di Responsabile della Comunità, coerente con quell'autonomia originaria dell'Ente Comune inrìtrodotta nella Costituzione.


2010 - Prostituzione: abbandonare le semplificazioni e valorizzare le politiche sociali [Altro]
Pighi, Giorgio
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Nel 1958, quando fu approvata la legge Merlin, il Paese - a ragione - sentiva ingombrante, antiquato e legato a vecchi pregiudizi un sistema di regolamentazione della prostituzione incentrato essenzialmente sull'autorizzazione all'esercizio all'interno di specifici locali, sotto il controllo di pubblica sicurezza e sanitario. L'esistente contrastava con l'idea stessa di dignità sociale, ma nella nuova disciplina prevalse un'irragionevole "finalità moralizzatrice", le cui previsioni andarono completamente disattese. Non era accettabile una legalizzazione della prostituzione filtrata dalla "mediazione" dello Stato. Era però insensato che la Stato si ritraesse senza fare altro. La prostituzione, con scelta che appare condivisibile, non fu perseguita e non assunse rilevanza penale, per non intervenire sull'astratta libertà di autodeterminazione di chi la esercita. Lo Stato "non si intromise" ma lasciò tuttavia chi, prostituendosi, era astrattamente "libero" di autodeterminarsi nella totale "solitudine". Chi esercita la prostituzione non trova alcun sostegno che lo salvaguardi da quanto, nei fatti, comprime tale libertà. Il “lavoro” in questione viene solo apparentemente tutelato limitandosi a chiudere le case di prostituzione ed a persegire i comportamenti di chi "approfitta" della condizione. Nessuna norma consente di creare ambiti, luoghi, situazioni in cui la prostituzione possa essere "esercitata legalmente" e non solamente "tollerata" o "ignorata". L'intervento penale sulla prostituzione s'incentra, con una tecnica legislativa viziata da eccessi di analiticità, sulle figure del favoreggiamento e dello sfruttamento, senza curarsi minimamente di quale sia lo "spazio" che l'attività di prostituzione occupa nei contesti urbani e nelle relazioni sociali, così che il fenomeno "deborda" e "crea disturbo" in tutti gli ambiti in quanto nessun "luogo" gli può veramente appartenere. Non essendovi uno spazio di libero esercizio della prostituzione ma esclusivamente la sua "mancanza di rilievo penale", la tendenza diventa sempre più quella di considerare la prostituzione non tanto un fenomeno sociale, ma una realtà da contrastare, da contenere da mandare "più in là". Davanti a tanta ipocrisia si fronteggiano due posizioni. Da un lato, la proposta di ammettere come "punto fermo" la possibilità di esercitare la prostituzione all'interno delle case e dall'altro lato il contrasto a tale asserzione, nella consapevolezza di quante contraddizioni questa "soluzione" faccia sorgere e quali tensioni e difficoltà le sue dinamiche possano portare nel tessuto sociale. Un secondo elemento di riflessione riguarda i rischi legati alla prostituzione che si rafforzano più la stessa resta "nascosta". Consentire al fenomeno di rendersi palese, di localizzarsi e di spostarsi senza la modifica del quadro normativo, lascia del tutto irrisolti i nodi problematici che lo caratterizzano. Anche la soluzione della zonizzazione, e cioè la realizzazione di un quadro in cui la prostituzione di strada è accompagnata da alcuni segmenti di controllo, fatti sulla base di programmati interventi di Polizia e di protezione in un quadro di "riduzione del danno", presenta aspetti contraddittori. Se da un lato alleggerisce i rischi e la conflittualità nei quartieri in cui essa avviene oggi in modo incontrollato, il suo esercizio più sorvegliato presenta, tuttavia, altri evidenti inconvenienti. Suscita forti perplessità la possibilità che tale soluzione possa essere praticata in città come le nostre, ed in territori fortemente antropizzati e sensibili al sentimento d’insicurezza, senza una legislazione nazionale


2009 - Controllo del territorio, Prevenzione sociale, Qualità urbana: parole chiave della sicurezza [Altro]
Pighi, Giorgio
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Le politiche di sicurezza urbana del Comune di Modena assumono come tratto caratterizzante la spiccata trasversalità degli interventi tra i vari settori dell'Ente e le diverse Amministrazioni pubbliche, Sono assunte come caratteristica positiva di un sistema di welfare attento alla vivibilità, al rispetto delle norme, alla coesione sociale ed al coinvolgimento dei soggetti economici, associativi e del volontariato della città, in tutte le loro forme. Il Patto per Modena Sicura, sottoscritto con la Prefettura di Modena nel luglio 2007, quale sviluppo del precedente Contratto di Sicurezza, ha ridefinito il quadro istituzionale di collaborazione ed integrazione delle risorse che deve realizzarsi tra gli organi decentrati dello Stato, deputati al controllo dell'ordine e della sicurezza pubblica, e l'Ente Locale. L'impegno dell'Ente Locale sul terreno della sicurezza urbana si articola su specifici filoni d'attività, primo fra tutti il potenziamento della Polizia Municipale. Il controllo del territorio, in un'accezione ampia del termine, è stato perseguito attraverso la sperimentazione ed il pieno utilizzo di specifici strumenti tecnologici di supporto. Un impegno altrettanto forte di attività e risorse ha caratterizzato sia le azioni di prevenzione sociale dei reati e dei fenomeni di devianza e marginalità, sia il miglioramento della qualità urbana, attraverso la realizzazione di programmi finalizzati alla manutenzione ed alla riqualificazione di aree che presentano problemi d'insicurezza.


2009 - I partiti e il potere dal basso in un saggio di Aldo Capitini [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
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Il pensiero di Aldo Capitini racchiude significativamente alcuni importanti temi della cultura laica e di sinistra che si confrontò, in modo autonomo, con le correnti prevalenti dei grandi partiti contrapposti dell'ultimo dopoguerra. Capitini, defilato ma non isolato rispetto al panorama politico, finì per rappresentare il riferimento per coloro che lui stesso definì per primo "indipendenti di sinistra". Si tratta di posizioni rimaste troppo a lungo ai margini e che aspiravano ad una società costruita sulla partecipazione democratica, sul confronto plurale, sulla convergenza di programmi chiamati ad arricchirsi di bagagli ideali differenti, in un'impostazione aliena da qualsiasi deriva di "pensiero unico". In questo quadro ideale Capitini si interrogò sul rapporto che dovrebbe intercorrere fra gli organismi di democrazia diretta (i partiti intesi in forma "militante" e come soggetti del confronto fra i cittadini) ed i partiti che agiscono nello schieramento italiano. Caratteristica dei partiti deve essere la capacità di essere i soggetti della trasformazione della società italiana. Il pensiero di Capitini prefigura la crisi dei partiti di massa del dopoguerra ed intuisce la deriva autoritaria che un simile quadro potrebbe determinare per il Paese. L'esercizio del potere dal basso, rappresenta per Capitini "l'unico mezzo per superare il fossato che divide oggi la politica dalla maggioranza degli italiani. In questa opera istituzioni e forme sono di secondaria importanza".


2009 - Intervento su "Domanda di sicurezza urbana e videosorveglianza" [Altro]
Pighi, Giorgio
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La videosorveglianza, come ausilio per il controllo del territorio da parte delle Forze dell’Ordine e delle Polizie Locali, è sperimentata localmente da anni e si caratterizza per potenzialità e criticità che consentono una riflessione articolata sullo strumento. A fronte della crescente domanda di sicurezza, che si esprime anche in richiesta di installazione di nuove telecamere, è d'obbligo interrogarsi sul rapporto fra costi e benefici, sugli sviluppi prefigurabili e sulle possibili ulteriori applicazioni per migliorare il controllo del territorio, Il ricorso alla videosorveglianza è strumento che traduce il modello di sicurezza urbana al quale si fa riferimento. Quando l'approccio privilegia politiche che vedono come "attori" della sicurezza diversi soggetti istituzionali, a livello statale e comunale, la videosorveglianza si fa strumento di integrazione di azioni di carattere strutturale, di prevenzione sociale, di presidio formale del territorio che spinge all'integrazione. La realizzazione e la gestione del sistema di videosorveglianza sono finalizzate - a supporto dell'attività di polizia dei diversi soggetti - a prevenire i fatti criminosi attraverso un’azione di deterrenza che la presenza di telecamere è in grado di esercitare; a sorvegliare direttamente zone che di volta in volta presentano particolari elementi di criticità o in concomitanza di eventi rilevanti per l’ordine e la sicurezza pubblica; a favorire il contrasto agli stessi fatti criminosi ricorrendo alle informazioni che il sistema sarà in grado di fornire. Nella gestione di dette finalità va sottolineata l'importanza del metodo di lavoro interistituzionale sul tema del controllo tecnologico del territorio, che dà vita ad uno specifico organismo che si riunisce a scadenze periodiche con il compito di monitorare, dal punto di vista tecnico, la funzionalità del sistema, rilevarne costantemente le criticità, migliorare gli elementi gestionali e suggerire possibili sviluppi. telecamere e la definizione degli aspetti gestionali. Oltre alle conoscenze specifiche degli operatori di polizia circa le zone più problematiche, vanno analizzati e "mappati" localmente i dati riguardanti le segnalazioni alla Polizia Municipale, profili specifici come la "raccolta delle siringhe", il sentimento di sicurezza dei cittadini attraverso sondaggi d’opinione. Gli elementi raccoltiin tal modo, nella maggior parte dei casi, hanno confermato le valutazioni tecniche e di polizia sull’opportunità di installare nuove telecamere.


2009 - Luosi e la Modena tra due secoli. [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore, in occasione di un convegno internazionale di Studi svoltosi a Mirandola, nel modenese, offre il suo contributo parlando di Giuseppe Luosi.


2009 - Sicurezza urbana e polizia locale: interesse generale e confronto politico. [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore si interroga sul difficile rapporto tra interesse generale e confronto politico nell'ambito del tema della sicurezza urbana e della polizia locale.


2009 - Stato ed Enti locali nella tutela dell’ambiente. Alcuni aspetti dell’evoluzione normativa del Novecento. [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore si occupa delle modifiche della tutela dell'ambiente nell'evoluzione normativa del novecento.


2008 - Comunicazione alla Indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia alla Camera dei Deputati, Prima Commissione (affari costituzionali) [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Le indagini qualitative e quantitative sulla percezione di insicurezza offrono indubbiamente un dato di allarme diffuso, ma sottolineano anche il fatto che buone politiche sociali ed altrettanto buone politiche di dissuasione non vadano contrapposte fra loro, ma debbano creare un sistema capace di far fronte alle nuove caratteristiche del fenomeno. In sostanza, non vi devono essere competizione e concorrenza fra le politiche dello Stato sociale e quelle della sicurezza, in quanto la sicurezza entra a pieno titolo nella politica di welfare e, come tale, deve essere intesa nelle azioni condotte dagli organismi statali e in quelle delle autonomie locali. In proposito, mi ha colpito l’osservazione svolta poco fa del prefetto di Palermo, il quale ha sottolineato come un discorso del genere - è questa la riflessione che faccio su quel che ho appena detto - possa reggere nel momento in cui vi sia un welfare strutturato e ben caratterizzato. Il principio di extrema ratio o di sussidiarietà comporta che l’azione punitiva deve intervenire quando le altre politiche si sono dimostrate inadeguate. Si deve però chiarire che, per intervenire nelle specifiche situazioni, non bisogna aspettare che le politiche sociali abbiano mancato l’obiettivo: talvolta, infatti, esse non sono lo strumento adatto. Occorre cioè aver chiaro sin dall’inizio dove possono avere successo le une e dove le altre, senza aspettare che l’una o l’altra si mostrino inefficaci. La nuova idea di sicurezza delle amministrazioni locali, in partenariato con gli organi statali, comporta che tutti i soggetti stabiliscano assieme gli assi strategici e gli interventi mirati di interesse comune, sia pur nel doveroso rispetto delle competenze e prerogative di ciascuno, per poi operare insieme. È proprio questo il tema che, soprattutto nelle città di grandezza media, ci stiamo ponendo: sui singoli temi deve essere da subito noto dove intervenire in un modo e dove in un altro, in un quadro condiviso da tutti gli attori, i quali, costantemente responsabili, fanno la loro parte, valorizzando la specializzazione di ognuno. Ovviamente, ciò comporta un grande cambiamento di mentalità. Non vi devono essere competizione e concorrenza fra le politiche dello Stato sociale e quelle della sicurezza, in quanto la sicurezza entra a pieno titolo nella politica di welfare e, come tale, deve essere intesa nelle azioni condotte dagli organismi statali e in quelle delle autonomie locali. Il principio di extrema ratio o di sussidiarietà comporta che l’azione punitiva deve intervenire quando le altre politiche si sono dimostrate inadeguate. Si deve però chiarire che, per intervenire nelle specifiche situazioni, non bisogna aspettare che le politiche sociali abbiano mancato l’obiettivo: talvolta, infatti, esse non sono lo strumento adatto. Occorre cioè aver chiaro sin dall’inizio dove possono avere successo le une e dove le altre, senza aspettare che l’una o l’altra si mostrino inefficaci. La nuova idea di sicurezza delle amministrazioni locali, in partenariato con gli organi statali, comporta che tutti i soggetti stabiliscano assieme gli assi strategici e gli interventi mirati di interesse comune, sia pur nel doveroso rispetto delle competenze e prerogative di ciascuno, per poi operare insieme. È proprio questo il tema che, soprattutto nelle città di grandezza media, ci stiamo ponendo: sui singoli temi deve essere da subito noto dove intervenire in un modo e dove in un altro, in un quadro condiviso da tutti gli attori, i quali, costantemente responsabili, fanno la loro parte, valorizzando la specializzazione di ognuno. Ovviamente, ciò comporta un grande cambiamento di mentalità. Fra i vari settori che in particolare interessano le amministrazioni locali, comincio da quello della polizia municipale. Occorre caratterizzare ed attrezzare la polizia municipale perché possa svolgere coerentemente la funzione di presidio amministrativo, anche rafforzandone l’o


2008 - Immigrazione e società multietnica: il nodo della sicurezza urbana [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Le migrazioni sono legate alle grandi trasformazioni nell’economia mondiale e nei rapporti internazionali, che spingono numerose persone ad assecondare la prospettiva di migliori condizioni di vita, spostandosi nei Paesi più ricchi. Solo riferendosi ad un’ampia accezione del fenomeno, che non escluda alcun profilo rilevante, se ne possono ricostruire in modo adeguato le caratteristiche, valutando appieno le conseguenze che maturano nei Paesi che, come il nostro, sono la meta dei flussi migratori Questo comporta la necessità di superare i pregiudizi ed una certa ritrosia ad affrontarne l'impatto e le dinamiche, assieme ai dilemmi impliciti nel "governare col consenso" i nuovi processi sociali, nell'"aggiornare le regole" e nel fare fronte a significative e spesso difficili trasformazioni nella società e nelle relazioni. Valutando il tema migratorio nell’ottica della prevenzione dell’insicurezza urbana, si uniscono chiarezza di proposizioni e correttezza nel dibattito pubblico. Il tema si fa insidioso quando impone di scegliere le "risposte" alle esigenze di integrazione e di coesione sociale che caratterizzano ogni rapporto "significativo" fra persone provenienti da culture diverse e che si trovano a vivere nella medesima realtà, nella quale esercitano diritti e doveri. Tale scelta non può prescindere dal porsi in modo convincente il problema del "governo dei rischi" che il fenomeno presenta quanto a soddisfacimento delle esigenze di vita, convivenza, rapporto con le istituzioni e controllo sociale sugli aspetti degenerativi che possono insorgere nella società multiculturale e multietnica. L’approccio è evidente, ma la possibilità di dargli concreta attuazione non è per nulla ovvia e scontata. Questa precisazione evidenzia l’insufficienza di alcune impostazioni, pur attente alla salvaguardia ed al rispetto nei confronti dei migranti, che non sono adeguatamente "stringenti" nel definire le politiche di governo del fenomeno effettivamente "incisive" nel dare soluzione ai problemi. Mi riferisco in particolare alle sottolineature sulle persone “necessarie” per svolgere lavori “ingrati”, compensare lo sbilancio demografico, mantenere alto il gettito fiscale e previdenziale del lavoro dipendente. La valorizzazione della condizione di "migrante economico" non induce a politiche lungimiranti ma ad un'acquiescenza tollerante perché "necessitata" che conta sulla capacità del fenomeno di evolvere “da solo” in nuovi equilibri accettabili. La prospettiva della sicurezza urbana induce politiche razionali e non emotive che favoriscono il progressivo assestarsi, favorito dalla multiculturalità, di regole informali di convivenza sul terreno sociale - legate al costume ed alle abitudini di relazioni e convivenza - che possono evolvere senza "strappi" a quello giuridico, che le trasforma in doveri formali, tipici ed eventualmente sanzionati. L'opposto di quanto sta avvenendo attraverso una sorta di sviamento nell'uso delle ordinanze per ragioni di sicurezza urbana previste dal nuovo art. 54 del Testo unico degli Enti locali n. 277/2000. La regolazione formale delle criticità, in molti casi, non consente risposte adeguate in quanto impossibile, controproducente o rifiutata, perché insostenibile, complicata, spesso inutile. Anche sull’immigrazione occorre "aprire" alla regolazione implicita ed alle buone prassi. Deve essere però forte il quadro normativo di fondo, che riguarda tutti, compresi i migranti, in particolare con leggi sul lavoro adeguate a disciplinare tutto il lavoro, compreso quello per loro appetibile, per impedire comportamenti lesivi dei diritti e della dignità. La “regolazione implicita”, come sviluppo di quella generale, contrasta in questo modo le degenerazioni: lavoro "nero", mancanza di diritti, male inteso senso della tolleranza.


2008 - Intervention à la Table ronde "Élus locaux : outils et compétences face à la délinquance juvénile" [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Les exigences de coordination impliquent la nécessité de cohérence entre les interventions des collectivités locales et celles du pouvoir judiciaire. À partir de 1995, les Nations Unies affirmèrent les principes de base relatifs à ces interventions pour l’administration de la justice aux mineurs, afin de sauvegarder les droits de l’homme en cas d’implication dans une affaire judiciaire. L'importance de ces règles ne réside pas uniquement dans la détermination d’un système relatif aux mineurs différencié par rapport à celui des adultes (déjà largement acquis dans les systèmes étatiques), mais plutôt dans la définition de domaines spécifiques dans lesquels les droits de l’homme pourraient subir une compression en relation aux caractéristiques spécifiques d’un sujet « faible » tel que le mineur. Parmi ces règles, les points fondamentaux doivent être : 1) identifiés dans la présence de règles spécifiques qui façonnent le système pénal en rapport aux caractéristiques particulières du mineur, comprises comme mise en valeur d’une « personne humaine » spécifique et non d’un « futur adulte », qui se manifestent normalement à travers la définition d’un « âge pénal de maturité » reflétant une maturation effective du sujet au niveau individuel et social, lié à l’acquisition effective de l’idée « d’homme » et de l’idée de «société» propre à chaque âge; 2) une réponse punitive réservée uniquement aux sujets « mûrs » et proportionnée à la personnalité de chaque jeune et aux circonstances des faits; 3) un pouvoir discrétionnaire qui permet de tenir compte de manière adéquate des besoins spéciaux du mineur et des différents moyens à disposition; 4) une intervention non pénale, aussi bien pour les sujets immatures et pour les sujets qui ont subi des conditionnements négatifs importants, à forte valeur éducative; 5) la reconnaissance des garanties de procédures fondamentales telles que la présomption d’innocence, la notification de l’accusation, la faculté de ne pas répondre, la présence des parents, le droit de faire recours, etc. Les points fondamentaux concernant la fonction éducative – et donc non seulement rééducative – du système pénal des mineurs, sont tout aussi significatifs, en particulier au niveau de : a) l’intimité des mineurs; b) des précautions à adopter au cours des enquêtes; c) de la spécialisation de la police; d) de l’utilisation de l’incarcération préventive comme recours extrême; e) du jugement équitable dans un environnement intégrant les exigences des mineurs; f) de la pluralité de réponses en matière de sanctions et de la différencia-tion de traitement; g) de l’utilisation de la peine privative de liberté comme recours extrême; h) du traitement fortement protégé et du traitement de détention à effectuer dans des institutions tout à fait séparées des institutions pour adultes, de la concession vaste et vigilante de la liberté conditionnelle et des alternatives à la détention; i) à l’absence de conséquences stigmatisantes qui conditionnent de manière négative la vie future.


2008 - Le migrazioni negate. Clandestinità, rimpatrio espulsione, trattenimento. [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore si occupa del tema della clandestinità e affronta le complesse questioni del rimpatrio, dell'espulsione e del trattenimento.La disciplina giuridica di tali figure lascia trasparire forti tensioni sociali e culturali e, per acquisire maggiore coerenza, postula il superamento dello scontro tra le due impostazioni fino ad ora dominanti: l’approccio di esclusivo carattere sociale e quello che privilegia il mero contrasto in termini di ordine pubblico. Le migrazioni negate individua, quali «nodi» da sciogliere, il chiarimento di obiettivi e fondamento dell’espulsione, la dimensione sopranazionale, la disciplina delle migrazioni economiche e le garanzie della persona, valorizzando la convergenza tra integrazione e prevenzione. Il superamento dell’equiparazione tra clandestinità e devianza ed il necessario chiarimento delle ragioni fondanti dell'espulsione e del trattenimento consentono di ripercorrere criticamente l’intreccio tra fenomeni sociali e disciplina legale delle migrazioni, e di evidenziare i limiti di costituzionalità della disciplina più volte ribaditi dalla Corte. Ci si riferisce, in particolare, alle fattispecie penali, troppo appiattite sulla tutela delle funzioni statuali che presidiano l’espulsione ed alle limitazioni della libertà personale realizzate attraverso il Centro di permanenza, che risentono vistosamente del ritardo nel defi-nire i “casi” ai sensi dell’art. 13 Cost.


2007 - Intervento di saluto su "Partiti politici, libertà civili, Costituzione "rigida" [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Calamandrei esprimeva una posizione critica nei confronri dei partiti politici “di massa” che conquistarono, alla Costituente, una larghissima maggioranza di seggi. L’idea di Calamandrei era che l’Assemblea Costituente dovesse riassumere in sé, sia il potere di scrivere la nuova Costituzione dello Stato, sia quello di costruire ed approvare le leggi fondamentali in grado di dare l’avvio alle “grandi riforme” economico sociali sulle quali avrebbe dovuto basarsi l’ eguaglianza in senso sostanziale tra i cittadini. Per questo Calamandrei si batté strenuamente, non sempre con successo, per lo spirito “azionista” teso ad affermare nella Carta costituzionale di principi da lui ritenuti fondanti per la vita del nuova Repubblica, come la netta separazione fra Stato e Chiesa. Molto più successo ebbe l’impegno di Calamandrei alla Costituente a favore del sistema di garanzie che dovevano essere inserite nella Costituzione. Calamandrei era fortemente favorevole ad una forma di governo che favorisse la formazione di maggioranze stabili attorno a programmi politici definiti, per contrastare la tendenza dei partiti politici a rappresentare i loro elettori solo in funzione della “appartenenza ideologica”. Nello stesso termpo manifestò l’esigenza che la nuova Costituzione contenesse efficienti istituti di garanzia atti ad evitare qualsiasi forma di “dittatura della maggioranza”. Per rafforzare un simile equilibrio Calamandrei sostenne non soltanto l’inserimento in Costituzione del più ampio ventaglio di diritti di libertà civile e politica, e del carattere di rigidità della Costituzione, ma anche l’istituzione della Corte Costituzionale, unico strumento in grado di garantire l’effettività dei principi costituzionali anche contro le possibili deviazioni parlamentari.


2007 - La qualifica di pubblico ufficiale del medico ospedaliero. I rapporti tra truffa, concussione e peculato [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Il dott. Tizio, medico dipendente di una Azienda ospedaliera, sottopone a visita specialistica, in tale qualità, il paziente Sempronio che ha chiesto la visita alla struttura pubblica. Il paziente, a fronte della prestazione, deve versare una somma (ticket) all’Azienda ospedaliera. Il dott. Tizio, pur consapevole che, per effetto di disposizioni impartitegli, la suddetta somma deve essere versata da chi riceve la prestazione sanitaria esclusivamente all’apposita “Cassa” dell’Azienda ospedaliera, si fa consegnare a mani la somma e si impossessa della stessa, dopo aver fatto credere al paziente che avrebbe provveduto in seguito a versarla all’Ente, mentre in realtà la utilizza poi per fini propri. Il dott. Tizio si rivolge ad un legale per avere chiarimenti sulla propria posizione dopo che l’Azienda ospedaliera gli ha chiesto spiegazioni in quanto il paziente, insospettito, si è rivolto agli uffici dell’azienda Ospedaliera per informarsi se la somma da lui consegnata al dott. Tizio quattro mesi prima, fosse stata da questi versata alla "Cassa". Il candidato esprima, quale consulente legale, motivato parere al medico che gliene ha fatto richiesta sulle ipotesi di reato configurabili nei fatti esposti.


2007 - Non c'è contrasto fra welfare e sicurezza [Abstract in Rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La prevenzione diffusa realizzata attraverso buone politiche sociali e quella che deriva da altrettanto buone politiche di dissuasione, non vanno contrapposte, ma debbono creare un sistema capace di far fronte alle nuove caratteristiche del fenomeno. Non esiste contrasto e soprattutto non devono esserci competizione e concorrenza tra le politiche dello stato sociale e quelle della sicurezza, in quanto la sicurezza entra a pieno titolo nella politica di welfare e come tale deve essere intesa da tutti, nelle azioni condotte da organismi statali ed in quelle delle autonomie locali. Le autonomie locali considerano insufficiente il coordinamento (art. 118 Cost) inteso come "convergenza", organicamente intesa, verso il risultato. La necessaria sussidiarietà del contrasto e del contenimento presuppone che le altre politiche siano inadeguate ma non bisogna aspettare, per intervenire nelle specifiche situazioni, che le politiche sociali abbiano, per così dire, "mancato l’obiettivo". La prevenzione presuppone chiarezza su dove possono avere successo le une e dove possono averlo le altre, senza aspettare insuccessi legati all'uso dello strumento errato. In questo sta lo snodo della nuova idea di sicurezza, in partenariato con gli organi statali, portata avanti dal governo locale. Tutti i soggetti decidono insieme e preventivamente gli assi strategici e gli interventi mirati, sia pure nel rispetto delle competenze e prerogative di ognuno, per poi operare insieme. Deve sapersi da subito dove si interviene in un modo e dove in un altro, in un quadro condiviso da tutti gli attori, che, resi costantemente responsabili, fanno la loro parte, valorizzando la specializzazione di ognuno. Questo, è ovvio, comporta rinnovati approcci al problema. Il ruolo della polizia municipale diventa essenziale per svolgere coerentemente la funzione di presidio, ad un tempo amministrativo in senso generale e di polizia locale in particolare, a fronte di compiti resi più vasti e complicati dalle trasformazioni della società e dal progressivo accentuarsi della complessità delle relazioni, dal carattere più aggressivo dei fenomeni di devianza e di illegalità e dal maggiore bisogno di presidio del territorio. Occorre affrettare l’iter parlamentare della legge di riforma, modificare le dotazioni degli strumenti, non perché siano cambiati il ruolo e le funzioni, ma perché si è evoluto il contesto. Il nuovo imporsi del tema sicurezza all’attenzione dei cittadini è assecondato dai protocolli di sicurezza per il coordinamento fra Prefetto e Sindaco, che valorizzano il ruolo preventivo delle politiche comunali e l'attenzione all'aggiornamento coordinato alle nuove esigenze. della Polizia municipale e delle altre Forze di polizia, Lo strumento consente di governare assieme taluni processi e, soprattutto, di adeguare gli interventi in modo coordinato ed aggiornato rispetto alle trasformazioni, spesso significative e repentine, che incidono profondamente sui processi sociali. Anche il rapporto fra presenza clandestina e criminalità diffusa ha evidenziato quanto sia delicato far fronte a fenomeni nuovi. Il problema dei Centri di permanenza sta vivendo una nuova dimensione locale e nazionale e deve portare a costruire una nuova idea di trattenimento, legata di più alla deriva che il fenomeno mostra in direzione dei fenomeni degenerativi del tessuto sociale e di meno al dato formale della mancanza di documenti. Occorre superare quanto impedisce di selezionare, in vista dell'allontanamento, solo coloro che creano problemi per la sicurezza, distinguendoli nettamente dai soggetti socialmente deboli, superando quanto imoedisce la salvaguardia di persone che vivono la loro fragilità sociale come fallimento di una speranza.


2006 - Conferenza "Security, Democracy and Cities, the Saragoza Manifesto". Comunicazione sul tema "Les nouveaux défis au niveau local pour une société multiculturelle" [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Les thèmes de l’inclusion, de la communication interculturelle et de la participation rappresentent les terrains où sont en jeu les plus grands défis pour la construction d’une cohabitation et d’un savoir vivre ensemble ordonnés et civils auxquels nous aspirons tous. Aujourd’hui il est cependant nécessaire que chacun de nous fasse un effort de réflexion sur les facteurs réels d’intégration. Actuellement il reste bien peu de l’image de l’étranger qui a dominé le débat sur l’immigration en Europe pendant un certain temps: la personne arrivant à la recherche d’un travail et de meilleurs conditions de vie, ayant choisi volontairement de laisser son propre pays, image qui impliquait dans l’imaginaire collectif la propension à accepter conditions de logement et de travail malaisées en direct parallèle avec les standards de vie du pays d’origine ; l’instabilité du projet migratoire et par conséquent sa possible réversibilité. Aujourd’hui, au contraire, les perspectives du phénomène migratoire se positionnent autour d’un projet de stabilité de la part des étrangers. La stabilité du phénomène implique notamment des attentes par rapport au futur, surtout en ce qui concerne les enfants. Il suffit de penser au marché du travail où se reversera le pacte tacite de la soit-disante « intégration subalterne » qui a favorisé l’acceptation des immigrés : la deuxième génération est en effet moins disponible à accepter les travaux délaissés par les autochtones mais qui ont cependant permis à la première génération d’immigrés d’obtenir une certaine insertion socio-économique. Du point de vue des politiques publiques cela implique une forte prise en charge de ce thème de la part des organismes publics, et en cela les villes ont fortement besoin d’être soutenues et épaulées par les gouvernements nationaux et par l’Europe, notamment à travers un rééquilibrage des ressources. En 2004, 29 millions d’euro ont été dépensés en Italie pour financer les politiques de soutien à l’intégration, contre 115 millions destinés à contraster l’immigration, mais je pense que cela doit être une situation commune à beaucoup de pays.


2006 - Franco Allegretti tra professione e impegno civile. Ricordando il mio Maestro. [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore ricorda il proprio maestro a 25 anni dalla morte in occasione di una giornata di studi organizzata a Modena nel giugno del 2005.


2006 - La “cultura condivisa” della nuova Italia: la testimonianza ed il contributo penalistico di Marcello Finzi. [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

Il contributo fa parte del volume edito in occasione del Convegno di studi tenutosi a Modena sulla testimonianza ed il contributo penalistico di Marcello Finzi, e rappresenta il saluto d'apertura dei lavori.


2006 - L’estinzione del reato per condono edilizio: il governo del territorio nella legislazione concorrente Stato-Regione. [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La Corte costituzionale ha reso il condono edilizio del 2003 conforme al nuovo art. 117 Cost. in tema di "governo del territorio", disciplina legislativa concorrente tra Stato e Regione (Corte cost. n. 303/2003 e n. 196/2004). Le leggi regionale determinano ora, tra le tipologie di abuso edilizio previste dal condono (D.L. n. 296/2003), le modalità e gli effetti della sanatoria amministrativa e la volumetria sanabile, anche entro limiti inferiore rispetto a quelli indicati dalla "cornice" statale. L'autonomia della sanatoria amministrativa rimarca la competenza regionale nel contribuire a definirla, mentre la puntualizzazione sull'estinzione del reato afferma con chiarezza che quest'ultima, ai sensi dell'art. 25 comma 2 Cost., può essere modulata esclusivamente dalla legge statale. L'ultimo condono edilizio ha pertanto due diversi ambiti applicativi ma la soluzione, pur se necessaria per ridare alla disciplina la necessaria coerenza con la Costituzione, avrebbe potuto dare vita, con maggiore sforzo di creatività del legislatore, ad un complessivo sistema che utilizzasse meglio l'effetto penale come incentivo alla sanatoria. sarebbe stato sufficiente prevedere, quale condizione della causa estintiva del reato, e in aggiunta ai limiti tipologici e volumetrici della legge statale, l'aver posto in essere le condizioni legittimanti la sanatoria amministrativa, opportunamente certificate. Il rilievo (Corte cost. n. 196/2004) che il giudice penale, per dichiarare estinto il reato, non ha competenza istituzionale a compiere l'accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici, comporta comunque la necessità di una attestazione comunale che accerti le caratteristiche dell'abuso, limitata-mente però ai limiti previsti dal condono come causa estintiva penale, dando conto della corrispondenza tra la situazione effettiva e quanto di-chiarato dall'interessato.Sommario: Il "governo del territorio", competenza concorrente tra Stato e Regione. La struttura e l'applicazione del condono edilizio. La ricaduta dei profili d'incostituzionalità del condono edilizio del 2003 sulla disciplina penale. La "sfasatura" tra gli effetti amministrativi e penali del condono: possibili rimedi. Il condono edilizio, attestazione di conformità e poteri del giudice.


2006 - Piena occupabilità: ridare fiducia ai giovani e valorizzare il ruolo delle parti sociali. [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore tratta il tema della Riforma Biagi inquadrando, in particolar modo, le politiche adottate in materia di percorsi educativi e formativi.


2006 - Presentazione della ricerca "Città e cittadinanza. Il punto di vista degli stranieri" [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

La ricerca "Città e cittadinanza il punto di vista degli stranieri" ha approfondito il mondo dell'immigrazione ed ha valorizzato la "sua" ottica, rispetto alle strutture ed alla vita della città. Individuare come i migranti percepiscono cittadinanza, identità, differenza è essenziale per costruire il futuro della città in termini di convivenza. Accanto alle politiche di prima accoglienza per quanti scelgono una città per il loro progetto di vita, è importante creare le basi dell'evoluzione del fenomeno migratorio - che coinvolge un numero rilevante di persone - verso l'integrazione sociale. La comunicazione interculturale è il primo obiettivo ma, per evolversi in riconoscimento reciproco, deve approfondire fenomeni nuovi e deve essere capace di garantire la prevenzione di conflitti e pregiudizi e la coesione sociale. Profilo significativo diviene la conoscenza non solo del punto di vista, ma anche delle "aspettative" per consentire l'avvio di politiche che traducano gli obiettivi in azioni concrete, garantiscano risultati duraturi, individuino i soggetti e le forme più idonei per sviluppare positivamente i processi, csrstterizzino gli interventi quali occasioni di partcipazione dei gruppi sociali dei migranti nella definizione di obiettivi e strategie. La crescita dei processi di integrazione necessita, pertanto, di una "costruzione sociale". L'indagine mette a fuoco come sia "vissuto" l'obiettivo della cittadinanza, se siano ritenuti significativi i temi della rappresentanza e del diritto di voto, come si manifestino "appartenenza" ed "identità", se assuma problematicità il profilo della "differenza" per i migrantii residenti, mentre si affaccia la "seconda generazione" che ne rappresenta una possibile evoluzione critica.


2006 - Sicurezza, legalità e coesione sociale. Governo locale e pre-venzione dell’insicurezza nella politica modenese. [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

L'autore analizza, dal punto di vista della realtà modenese, le problematiche legate alla sicurezza e alla coesione sociale.I temi della prevenzione dell’insicurezza urbana sono ricostruiti attraverso specifici approfondimenti. Viene individuato nel c.d. “partenariato” tra Enti il modello organizzativo per coordinare stabilmente l’azione di contenimento di polizia, l’intervento penale e quello sociale e per realizzare un coerente sistema preventivo che valorizzi la partecipazione dei cittadini e delle istituzioni elettive. L’obiettivo da perseguire consiste nel rafforzamento dell’efficacia delle azioni del governo locale per salvaguardare l’effettiva fruizione dello Welfare state, i cui obiettivi e potenzialità rischiano costantemente di essere indeboliti dall’insicurezza urbana.


2006 - Sicurezza: obiettivo di tutti ed impegno per tutti [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Il coinvolgimento di tutti i soggetti del territorio chiamati a dare il loro apporto alla sicurezza presuppone, in primo luogo, un confronto effettivo fra Comune e forze dell'ordine, in un quadro di partenariato e reciproca valorizzazione che sia caratteristica stabile dei rapporti, anche per effetto dei patti per la sicurezza. Va individuato chiaramente, per evitare il rischio di affermazioni generiche e poco stringenti, il punto di vista da assumere sui temi della sicurezza nel rapporto con la comunità locale. Occorre partire dalla "lettura" che trae origine dalle richieste dei cittadini, valorizzando l'insieme di istanze e di esigenze che maturano sul territorio come "contromisura" per quanto è avvertito come insidia per la sicurezza e la coesione sociale. Le azioni poste in essere devono infatti risultare non solo efficaci ma "comprensibili", a garanzia di un dialogo che deve rimanere proficuo per l’interesse generale, senza degenerare nell'enfasi per le misure forti, specialmente per quelle che subiscono il sopravvento delle paure radicate nell'allarme sociale. Occorre cogliere la forte richiesta di una città solidale, coesa e sicura e continuare ad assicurare in maniera costante la vivibilità quotidiana dei quartieri, assecondando un’aspettativa che chiede risposte "misurate" sul fare, sul risultato, e che quindi non può essere in alcun modo soddisfatta se non "allentando", con interventi adeguati, la tensione che nasce dai fenomeni indesiderati. La richiesta del cittadino di risolvere un problema di disagio per la presenza di attività illecite deve avere come sbocco quello di trovargli una soluzione, non di fornirgli una pura e semplice spiegazione di quanto gli sta accadendo, in quanto la sicurezza è una caratteristica dello stato sociale, che si "misura" in termini di risultati. In molte situazioni è prioritariamente necessario allontanare i fenomeni dal territorio in cui si manifestano e ristagnano e, dopo avere ottenuto il "ripristino" della vita sociale, occorre passare rapidamente alle strategie che impediscono al fenomeno di ripresentarsi. La coesione è il bene da salvaguardare ed il Comune, rimanendo all’interno delle proprie competenze, ha il compito di inserire le necessarie innovazioni nel proprio operare per fronteggiare il manifestarsi dell'insicurezza urbana. Le nuove esigenze devono "trasformarsi" in politiche guidate dal dialogo costante, diretto ed immediato con le Forze dell’Ordine, per costruire preventivamente e progressivamente i percorsi e le iniziative. Innanzi a problemi di sicurezza urbana il Comune non può essere "spettatore", ma nemmeno rivendicare o attribuirsi competenze altrui. Il coordinamento con le Forze dell’Ordine dà ulteriore impulso alla presenza degli interventi comunali, in quanto è nel contesto del coordinamento che la Polizia municipale assume pienamente il proprio ruolo, vedendo valorizzate le specifiche competenze e caratteristiche, ed in particolare la puntuale conoscenza del territorio. Il tema della sicurezza, nel dibattito politico-istituzionale, deve essere confronto di diversi punti di vista in quanto è essenziale e costruttivo il "misurarsi" di posizioni che perseguono il "rafforzamento della legalità" come risultato di politiche che privilegiano una società coesa e solidale, con altre posizioni che valorizzano maggiormente l’azione di contenimento, considerando un suo tratto imprescindibile la logica emergenziale dei mezzi. Non si tratta di un banale scontro tra risoluti e tolleranti, ma di ricerca appassionata, volta ad assimilare a fondo le peculiarità del fenomeno e delle strategie di intervento, per applicarle e trasformarle in politiche concrete. Il dato positivo della convergenza sui temi della sicurezza, pur da punti di vista diversi, rende sempre più radicata la convinzione diffusa che l’insicurezza derivi da una molteplicità di fattori e non coincida né con l’idea di mancanza di repressione, né con la sola


2005 - Le costituzioni cispadana ed europea. Ideali, identità comune ed autonoma responsabilità dei territori a due secoli di distanza, [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Il contributo richiesto ai relatori consiste nel mettere a fuoco alcuni specifici profili dei principi di libertà ed eguaglianza proclamati dalle due Carte costituzionali, diverse nel percorso di formazione e lontane nel tempo ma vicine per la funzione di dare voce a speranze per un futuro nuovo delle Istituzioni. Trovare tratti comuni di differenti esperienze costituzionali comporta lo sviluppo della comparazione sia giuridica sia storica. Si tratta di scegliere alcuni temi tra i tanti. «Ho ritenuto opportuno farmi guidare dal forte risalto che hanno avuto due particolari profili nel dibattito sulla recente Costituzione europea: quello delle radici religiose e culturali del vecchio continente», di quali è nata un’appassionata discussione sul “preambolo” e quello sui municipi" Quanto alle "radici religiose" il rischio di enunciazioni identitarie rischia di spingere a compromessi fatti di «affermazioni ambigue e reticenti, col rischio concreto di mettere in forse l’affermazione stessa di uno stato laico e pluralista, di una società composta di credenti e non credenti». Lo strumento non è lai "norma" ma il "preambolo". Guardando alla Costituzione cispadana appare «accettabile un preambolo che abbia la funzione di individuare una base comune riconosciuta e può assumere il senso di un progetto condiviso che, dal punto di vista normativo, nulla toglie o aggiunge rispetto alla disciplina giuridica dettata dalle norme. Nel momento in cui, invece, si va alla ricerca di una sintesi tra concezioni contrapposte, come è avvenuto per la Costituzione europea, il preambolo perde la sua stessa ragion d’essere, quella della preesistenza di un complesso di enunciazioni già condivise e, oltre ad essere privo di qualsiasi funzione normativa – alla pari di qualsiasi preambolo – non fa che scoprire i punti di frizione tra le varie opzioni culturali e politiche». Quanto al rapporto fra le realtà locali e lo Stato, va rilevato che il tema dei "territori" rappresenta una costante. «Il nuovo slancio verso la partecipazione individuava come sede privilegiata dell’autogoverno i municipi, un’istituzione risalente ed organizzata che, grazie al nuovo sistema di valori di libertà ed uguaglianza, era potenziata e valorizzata, portando ad ulteriori ed ambiziosi traguardi il ruolo fondamentale che le comunità locali avevano acquisito in queste terre sin dal medio evo. L’art. 208 della Costituzione cispadana attribuiva ai municipi competenze molto ampie: dalla conservazione dei “fondi pubblici” alla “riscossione delle entrate”, e poi gli “affari di acque e strade”, annona, vettovaglie, “ornato”, spettacoli, sanità, pubblica istruzione, rispetto dei regolamenti, “buon ordine”, “sicurezza e salubrità delle carceri”. Il tutto con obbligo, diremmo oggi, di bilancio consuntivo, nel senso che “ogni amministrazione municipale è tenuta al fine di ciascun anno di dare conto della sua azienda all’amministrazione centrale"». Con la costituzione europea il problema assume i profili della "sussidiarietà": i problemi vanno affrontati e risolti alla scala più prossima ai bisogni dei cittadini. La chiara formulazione del progetto di Costituzione europea afferma che «In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione».


2005 - L’intervento edilizio che contrasta con un piano urbanistico in salvaguardia è di rilevanza penale? [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'A. non condivide la decisione in epigrafe nella quale la Suprema Corte inserisce gli interventi edilizi realizzati in violazione della norma sulla salvaguardia di cui all'art. 12 del d.p.r. n. 380 del 2001 tra i casi di responsabilità del committente, progettista e direttore dei lavori per la contravvenzione edilizia di cui all'art. 44 lett. a) dello stesso d.p.r. L'A. rileva che la Corte non chiarisce se ha configurato l'ipotesi di "inosservanza dello strumento urbanistico", cui fa esplicito riferimento in motivazione, intendendola nel senso letterale dell'espressione - superando così, sul piano della tipicità, la possibilità di riservarla esclusivamente ad un piano definitivamente approvato e pubblicato - o se ha invece voluto giungere a tale risultato attraverso una delle tante applicazioni della c.d. "concezione sostanzialistica" del reato, concezione fortemente radicata in giurisprudenza che incentra la tutela delle contravvenzioni edilizie nel bene giuridico finale, la conformità dell'intervento all'assetto del territorio e dunque alla pianificazione urbanistica, in quanto il semplice permesso non definirebbe in tutto i limiti alla attività di edificazione, e non nel bene strumentale da indivi-duarsi nella sottoposizione degli interventi edilizi ai prescritti titoli di abilitazione cui segue la loro realizzazione in modo conforme, nel quadro del governo del territorio esercitato dai Comuni. L'A. conclude che l'affinità della sentenza al richiamato orientamento non appare sostenibile, poiché la concezione sostanzialistica è sempre stata fatta valere dai suoi fautori quando si verifica una divergenza tra i contenuti della pianificazione urbanistica ed il permesso di costruire che è stato rilasciato illegittimamente, poiché autorizza lavori che contrastano con le previsioni della pianificazione.


2004 - Il controverso rapporto tra l'illegittimità del permesso di costruire e le contravvenzioni edilizie [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

La concezione sostanzialistica delle contravvenzioni edilizie ha dato vita a due ricostruzioni interpretative che presuppongono, quale oggetto giuridico di tutela, il bene giuridico finale: ricorrerebbe l'elemento oggettivo del reato per ogni intervento che non sia accompagnato da permesso legittimo, indipendentemente dal fatto che l'atto sia stato rilasciato. Una prima ricostruzione della teoria, individuata dalla sentenza a Sezioni unite del 1993 (Borgia) configura, per chi costruisce con permesso contrastante con la normativa urbanistica, il solo reato previsto dall'art. 44 lett. a) del D.P.R. n. 380/2001. In forza di successiva interpretazione giurisprudenziale, il “costruttore” che si avvale di permesso illegittimo (eventualmente in concorso con chi ha rilasciato il permesso) può rispondere, a seconda della gravità dello “scarto” esistente tra opera realizzata e legalità urbanistica, di tutte e tre le ipotesi previste dal richiamato art. 44. La contrapposizione tra “bene strumentale” e “bene finale” evolve ed evidenzia una criticabile sovrapposizione tra interpretazione delle condotte tipiche ed esigenze di politica criminale. Il fatto tipico, infatti, nella sua inequivoca formulazione, presuppone il permesso come titolo di legittimazione e pone come garante della sua legittimità, senza prevedere sanzioni penali al riguardo, il solo dirigente comunale (e non il privato che l'ha richiesto). Il bene giuridico non può essere sospinto ad oltrepassare la funzione interpretativa che gli è propria per trasformarsi nell'elemento del fatto "legittimità del rilascio". Non può il "permesso di costruire" la cui materiale assenza o il cui mancato rispetto integra le contravvenzioni in esame, diventare "permesso di costruire legittimo" in base alla valutazione ex post del giudice. In questo caso infatti il permesso di costruire, privo di legittimità equivarrebbe, senza base normativa, ad assenza del titolo abilitativo facendo venire meniìo il diritto di edificare. E’ opportuno evidenziare che l’evolversi dell’interpretazione sostanzialistica mette a dura prova i profili della divisione dei poteri (sottesi agli atti autorizzativi la cui mancanza integra reato), del bene giuridico (che la norma intende chiaramente come bene strumentale conseguente all'esercizio della funzione) e del principio di legalità (che non consente di allargare, senza base normativa, il fatto tipico dal contrasto tra l'edificare al titolo abilitativo, alla "conformità" col titolo abilitativo ma reputato in contrasto con gli strumenti urbanistici). Si tratta di indiscutibili “resistenze” che nascono dalla tecnica legislativa con cui sono formulate le contravvenzioni edilizie e che la giurisprudenza tende a sottovalutare. Il sistema urbanistico - edilizio (come avviene, in modo più o meno intenso, per altri beni o anche per semplici “settori” dell’ordinamento tutelati con funzioni amministrative), è infatti incentrato su di un complesso di poteri e di provvedimenti dell’autorità che delimitano l’intera materia, la cui astratta portata non può essere sottostare a valutazioni di politica criminale sulla concreta “efficacia”, anche se la "deterrenza" fosse talvolta così debole da dar luogo ad inerzia ovvero a lasciare privi di conseguenze provvedimenti illegittimi. L’interpretazione suggerita dalla giurisprudenza non è in grado di risolvere il problema di una tutela più diffusa degli interessi ambientali (se non aggiungendo, ad un allargamento improprio del bene giuridico, una forzatura della tipicità) e finisce col travolgere il significato concreto e “culturale” del permesso, prima ancora che sul piano della liceità della condotta, su quello della concreta disciplina amministrativa che il legislatore ha realizzato nell’ urbanistica e nell’edilizia.


2004 - La delega di funzioni nell’impresa e le sue conseguenze sulla responsabilità penale [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Il titolare legale degli obblighi che gravano sull’impresa spesso non coincide col soggetto che è responsabile, per delega, della direzione e dell’amministrazione dei differenti settori o delle varie unità produttive dell’azienda. Questa sfasatura apre, nell’ordinamento italiano, il delicato problema della "ripartizione" delle responsabilità tra di essi. Due profili critici accompagnano la ricomposizione di un quadro coerente nell’ambito della responsabilità d’impresa: da un lato il necessario equilibrio fra i doveri che gravano sulla posizione di garanzia e la possibilità effettiva di adempierli e, d’altro lato, la necessità di individuare un’adeguata disciplina degli obblighi organizzativi e direzionali dei vertici dell’azienda per evitare l’ineffettività delle conseguenze penali a fronte delle scelte imprenditoriali che siano state contrastanti con la posizione di garanzia, mediante l'uso strumentale della delega di funzioni. Nell’ordinamento italiano manca una specifica norma che disciplini la rilevanza della delega nell’attività d’impresa e si è conseguentemente formato un corpo giurisprudenziale che, pur avendo trovato un sostanziale equilibrio sul tema dell’effettività del trasferimento delle funzioni, ha dato spazio, in alcuni casi, ad incertezze ed irrigidimenti in relazione ai casi in cui i vertici aziendali vanno esenti da responsabilità. In particolare, secondo alcuni, vanno trattati a parte gli obblighiche non si esauriscono nella sola posizione di garanzia - che sarebbe di per sé delegabile - quando la responsabilità penale coinvolge anche garanzie ulteriori legate alla “posizione”. In alcuni ambiti, come la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per effetto delle importanti innovazioni introdotte dal Decreto legislativo 626/94 che hanno largamente innovato la disciplina delle misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori, sono stati posti dalla legge, a carico dei vertici aziendali, taluni obblighi specifici, che non possono essere delegati. E’ dunque consentito trasferire a coloro che effettivamente gestiscono i settori dell’attività d’impresa il contenuto residuo della posizione di garanzia, unitamente all’obbligo di predisporre le relative cautele per evitare specifici eventi, rendendo, per così dire, “naturale” che le conseguenze dei comportamenti contrari al dovere di diligenza ricadano sui soggetti incaricati di gestire i vari “settori” dell’impresa, e non sul titolare.


2003 - La disciplina organica della materia come contenitore della legislazione penale complementare. La vicenda delle contravvenzioni edilizie. [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

Le contravvenzioni edilizie evidenziano rilevanti problemi “aperti”, soprattutto nei rapporti tra il contenuto delle norme incriminatrici, i principi costituzionali di rilievo penalistico e l'applicazioni di alcuni istituti di parte generale. In particolare si riscontra: 1) aperto confronto sul problema se le contravvenzioni edilizie perseguano la tutela di un bene giuridico ovvero la tutela di una funzione amministrativa; 2) la tendenza giurisprudenziale ad allargare il contenuto di norma penale in bianco (avente ad oggetto i regolamenti edilizi, gli strumenti urbanistici ed il permesso di costruire); 3) l'indeterminatezza che consegue all'allargamento dell'integrazione del precetto alla pianificazione urbanistica; 4) l'interpretazione sostanzialistica prevalente nella giurisprudenza di legittimità, che impone a chi costruisce di verificare, nella posizione di vero e proprio garante, la corretta interpretazione delle norme e degli strumenti urbanistici cui si è adeguato chi, con atto autorizzativo, ha rilasciato il permesso; 5) l’indicazione di soggetti responsabili per le contravvenzioni commesse nell’attività di edificazione che fa oscillare l’interpretazione fra un’esplicita individuazione di reato proprio per i reati posti in essere da chi ha ottenuto il permesso e di reato comune per chi ha edificato senza permesso; 6) un duplice rapporto con la disciplina che tutela del patrimonio ambientale, storico ed artistico che prevede sia un titolo autonomo di reato (la lett. c in caso di abuso edilizio su bene vincolato), sia, nel T.U sulla tutela del patrimonio storico ed artistico, il richiamo alle fattispecie contravvenzionali della legislazione urbanistica, aprendo il problema se si tratti di mera individuazione della pena o anche di differenziazione della fattispecie tra mancanza e totale ovvero parziale difformità dall’autorizzazione ambientale o della soprintendenza; 7) la disciplina del permesso in sanatoria che s'inserisce saldamente nel rapporto che la norma pone tra l'essersi il reo sottratto alla funzione amministrativa strumentale di controllo, e l’avere in concreto determinato la lesione del bene finale; 8) la causa di non punibilità, ricollegata al permesso in sanatoria, prevista solo per le contravvenzioni edilizie e non per quelle riguardanti le autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali, che determina nel sistema una mancanza di simmetria difficilmente spiegabile. Proprio questo complesso di preoccupazioni sugli evidenti problemi di “tenuta” dell’interpretazione delle contravvenzioni edilizie,e sulle frizioni coi principi riserva di legge e tipicità, porta a ritenere maturi i tempi per un inserimento dei reati edilizi nel codice penale in sede di riforma, privilegiando come figura centrale o anche esclusiva il delitto doloso. Un delitto edilizio potrebbe riguardare le ipotesi nelle quali la condotta assuma una forte connotazione materiale, come il costruire in assenza di permesso, il realizzare una costruzione totalmente difforme da quanto permesso, ovvero il procedere a lottizzazione abusiva. Dovrebbero esere configurate fattispecie nelle quali: a) l’abusivo sottrarsi alla tutela della funzione ed il comportamento materiale del reo appaiano particolarmente precisi e correlati fra loro; b) appaia evidente, in quanto enunciato dal fatto tipico, il pericolo astratto per il bene giuridico finale, dipendente dalla violazione del bene-funzione strumentale; c) si eviti di affidare i contenuti di violazione del bene-funzione strumentale all’esclusiva "interpretazione" del provvedimento autorizzativo. Occorre orietarsi verso il delitto doloso per assegnare al dolo una funzione di rimodellamento dello stesso fatto tipico, per giustificare il ricorso alla sanzione penale solo in presenza di fatti materiali che rappresentino un volontario sottrarsi alla funzione di governo del territorio, sorretti da sufficiente grado di offensività. E’ ovvio che una simile scelta potre


2003 - La “costituente modenese del 1797” e la nuova concezione del diritto: il profilo della libertà in Il sogno di libertà e di progresso in Emilia negli anni 1796 – 1797 [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Nella costituzione cispadana del 1797 fu adottata la definizione della "libertà" contenuta nella Costituzione francese dell’anno III allora in vigore (Articoli 2 e 7 della dichiarazione iniziale riguardante i diritti, trasfusi al punto II della dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo della Repubblica cispadana) : “La libertà consiste in poter fare ciò, che non nuoce ai diritti altrui. Nessuno può essere costretto a fare ciò che la legge non comanda. Ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito”. I rapporti tra libertà e diritti introducono considerazioni che troveranno adeguata sistemazione nel dibattito nei secoli successivi. L’enunciazione del principio di libertà, infatti, permette di constatare, innazitutto, la sua ampia estensione e la sua capacità di spaziare all’infinito tra le prerogative dell’individuo, ma rischia di non offrire adeguate garanzie sulla capacità di assumere contenuti di effettività. Solo sancendo e disciplinando alcuni specifici aspetti della libertà, attribuendo loro valenza costituzionale ed orientandoli in definiti contesti e manifestazioni determinate (stampa, pensiero, comunicazione, movimento ecc.) in cui agisce la persona, si ottiene il risultato, giuridicamente rilevante, di conferire a queste libertà i tratti di una "barriera" contro eventuali violazioni, nella costante tensione esistente fra Stato e società. Il dibattito congressuale sulla costituzione cispadana è caratterizzato, sia pure nella sua essenzialità, da numerose proposte che testimoniano le preoccupazioni per un’affermazione di libertà che non riesca a mettere chiaramente in evidenza i limiti ad essa correlati. E’ evidente lo sforzo di tradurre in norme giuridiche quanto era dato per scontato in un contesto nel quale né diritti di libertà né doveri individuali avevano mai formato oggetto di proclamazione. Nello stesso progetto del Comitato era contenuta l’espressione “Il trasgredire la legge non è libertà ma licenza” che poi sarà modificata nell’altra “La libertà non è licenza. Il trasgredire la legge è delitto” e, alla fine anche tale espressione sarà del tutto eliminata, innanzi alla constatazione che divieto e reato non possono essere categorie che coincidono. L’aspetto più innovativo della costituzione cispadana in materia di libertà è rappresentato dalla disciplina delle garanzie personali in materia penale. A tale processo innovativo corrisponde, tuttavia, una totale mancanza di autonoma caratterizzazione rispetto al modello francese. Nella seduta del 18 febbraio 1797 la costituente cispadana approva, l’uno dopo l’altro importantissimi principi in un clima che esprime una sorta di ammirazione del progetto francese. E’ l’aspetto più evidente della “rivoluzione passiva”. E’ così affermato che nessuno può essere arrestato se non per essere portato innanzi all’uffiziale di polizia, che nessuno può essere messo in arresto e detenuto se non in virtù di un mandato d’arresto o di un ordine d’imprigionamento adottato dal giudice. La novità è talmente carica di partecipazione ideale e di emozioni che alcuni deputati - ancora non avvezzi all'idea della separazione dei poteri - chiedono chiarimenti sulla differenza tra arresto in flagranza e mandato d’arresto del giudice e temono che l’espressione usata possa essere fonte di equivoci. Compare nel dibattito anche la discussione, vera costante del confronto penalistico da oltre due secoli, sulle ragioni di fondo della somma divisione, del "binomio irriducibile (Padovani), che contrappoine i reati che rappresentano una violazione significativa, i delitti, a quelli che rappresentano l'inosservanza di prescrizioni di polizia, le odierne contravvenzioni. Si giunge a proporre di affidare l’intera materia “correzionale” ai giudici di pace.


2003 - “Permesso” e “norme” nella disciplina penale dell’abuso edilizio. Il permesso di costruire tra governo del territorio e interpretazione sostanzialistica [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

L'opera ricostruisce il contenuto e l'interpretazione delle contravvenzioni edilizie nel testo entrato in vigore nel luglio 2003 (D.P.R. n. 380/2001) sottoponendo a critica le interpretazioni, soprattutto giurisprudenziali, che considerano di rilievo penale non solo l'intervento edilizio privo di permesso o contrastante con lo stesso, ma anche l'intervento edilizio conforme a permesso che il giudice ritenga illegittimo. L'interpretazione sostanzialistica, che giunge ad attribuire rilievo penale all'intervento edilizio che non sia sorretto da un permesso legittimo, entra in frizione con la riserva di legge in quanto equipara a mancanza dell'atto la sua illegittimità. L'estensione della responsabilità a soggetti diversi da quelli che effettuano l'intervento, ed in particolare a chi rilascia il permesso, dà alla fattispecie un'espansione che non è compatibile con gli elementi tipici che caratterizzano le contravvenzioni edilirie previste dall'art. 44 del D.P.R. citato.


2002 - Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Sez. I: Il minore e l'ordinamento penale 1. Considerazioni preliminari; Le indagini sulla personalita' del minore; L'imputabilita' del minorenne; L'accertamento della maturità; Il minore imputabile e le conseguenze penali del reato; I provvedimenti per i non imputabili: le misure di sicurezza. Sez. II: Il sistema sanzionatorio minorileA) IL MINORE AUTORE DEL REATO SECONDO I PRINCIPI COSTITUZIONALI; Le finalità della pena e la protezione della gioventù; La prevenzione speciale e la differenziazione dell'intervento sui minori ; B) L'INTEGRAZIONE DEGLI INTERVENTI SOCIALI CON QUELLI PENALI; La "mediazione" fra autore e vittima; C) L'INTERVENTO PENALE SENZA LA CONDANNA; L'irrilevanza del fatto; La prognosi favorevole: il perdono giudiziale; La sospensione del processo con messa alla prova ; D) IL PRIMATO DELLA PREVENZIONE SPECIALE IN CASO DI CONDANNA; L'attenuazione dell'intervento punitivo; Il trattamento differenziato nell'esecuzione della pena; Sez. III: Il sistema preventivo minorile; L'evoluzione delle misure "amministrative" minorili; La discutibile prospettiva del sistema preventivo come alternativa a quello penale minorile; La conferma del sistema sanzionatorio-preventivo ed il suo rilancio. I minori a rischio in attivita' criminose e la "violenza negli stadi"; L'intervento istituzionale: la comunità di accoglienza (Casa di rieducazione); L'intervento sul territorio: la liberta' assistita; Sez. IV: Conclusioni; Il minore nella riforma del codice penale


2001 - La parziale difformità dall’autorizzazione paesaggistica è punita con la sola ammenda [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'esecuzione di lavori in parziale difformità dall'autorizzazione ambientale costituisce reato (art. 163 D. lgs. n. 490/99). Il richiamo alla pluralità di fattispecie, in termini di condotte tipiche e sanzioni previste dalle contravvenzioni edilizie, evidenzia la scelta di creare un parallelismo fra queste ultime e le violazioni paesaggistiche, in relazione al grado di difformità rispetto al titolo abilitativo.


2000 - Liberazione anticipata. Se sia possibile raggiungere il periodo minimo di sei mesi sommando più periodi di detenzione [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La liberazione anticipata è misura alternativa alla detenzione che consente di beneficiare di quarantacinque giorni di riduzione di pena per ogni singolo semestre di pena scontata, quale riconoscimento della partecipazione all’opera di rieducazione e ai fini del più efficace reinserimento nella società. Si pone il problema se il semestre debba essere continuativo oppure se possa risultare dalla somma di minori periodi di pena espiata. Secondo la soluzione più rigorosa (quella che nega la possibilità di valutare congiuntamente i c.d. “frammenti” o “residui” di pena), l’espressione usata dalla norma, e cioè “per ogni singolo semestre”, dovrebbe essere letta in maniera molto restrittiva: il “singolo semestre” previsto rappresenterebbe un’unità in termini cronologici effettivi, uno scorrere del calendario e non una somma di giorni in rapporto a certi effetti giuridici (espiazione della pena da valutare come partecipazione all’opera di rieducazione). Dal punto di vista letterale, tuttavia, l’espressione usata dalla norma non appare assolutamente idonea ad esprimere quell’esigenza di continuità temporale che è sostenuta da una delle due interpretazioni. Certo, l’aggettivo “singolo” sta ad indicare che i semestri devono essere valutati uno alla volta. Ma questa espressione non vuol dire che i semestri devono essere delle unità compiute dal punto di vista cronologico, ma più semplicemente impone che il giudizio riguardi il singolo semestre e non tutti i semestri che vanno a determinare l’intera parte di pena presa in esame per accordare la liberazione anticipata, che può essere costituita da svariati semestri.


1999 - L'"irrilevanza" del fatto nel diritto penale minorile [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Il minorenne, autore di reato caratterizzato da tenuità del fatto ed occasionalità del comportamento, può essere prosciolto per irrilevanza del fatto ai sensi dell'art. 27, d. lgs 22 settembre 1988. n 448. L'istituto, che prende atto della potenziale nocività del processo per fatti di trascurabile importanza, si inserisce fra quelli che assommano in sé le finalità di rango costituzionale di tutela della gioventù e rieducazione (art. 31, comma 2 e 27, comma 3 Cost.), inquadrandosi fra i provvedimenti per ora tipicamente minorili (è tuttavia proposta un'adattata estensione agli adulti dell'irrrilevanza del fatto). Istituto di recente e tormentata introduzione, al centro di uno sforzo di sistemazione dei profili più problematici, vede la giurisprudenza tesa ad individuare i criteri applicativi volti a definire tenuità ed occasionalità, nel quadro di una seria preoccupazione che mira ad evitare all'irrilevanza del fatto una deriva clemenziale o arbitrariamente deflattiva.


1999 - Parere motivato su quesito il materia di "Medico ospadaliero che si appropria delTicket versatogli direttamente contro le regole impartite" [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Il quesito che viene posto evidenzia chiaramente due “fasi” nel comportamento tenuto dal dott. Tizio, ciascuna delle quali può astrattamente assumere una propria rilevanza penale: l’azione di convincimento nei confronti del paziente ed il mancato versamento della somma ricevuta alle casse dell’Azienda ospedaliera. Quanto al fare credere al paziente, contrariamente al vero, di voler versare in sua vece, col pretesto di usare una cortesia, la somma dovuta a titolo di ticket all’apposito ufficio, il comportamento del dott. Tizio configura un raggiro con induzione in errore che integra l’elemento costitutivo del reato di truffa, previsto dall’art. 640 c.p.. Nel convincere il paziente con le suddette modalità si potrebbe astrattamente configurare anche l'“induzione” a “dare ... danaro”, propria del delitto di concussione, previsto dall’art. 317 c.p.. Quanto al mancato versamento della somma alla Cassa dell’Azienda ospedaliera il comportamento del medico potrebbe integrare la fattispecie di due distinti delitti che prevedono quale elemento costitutivo l’appropriarsi del danaro o della cosa mobile altrui: l’appropriazione indebita (art. 646 c.p.) ed il peculato (art. 314 c.p). . Ritenuto che il medico dipendente dall’Azienda ospedaliera sia qualificabile come pubblico ufficiale si tratta ora di valutare quali fattispecie penali saranno applicabili nel caso in questione. Il primo problema da risolvere in relazione a questo specifico problema consiste nel valutare se ci si trovi in presenza di concorso apparente o concorso reale di norme in rapporto ai reati comuni (artt. 640 e 646 c.p.) ed a quelli propri, che hanno cioè la qualifica soggettiva di Pubblico ufficiale fra gli elementi costitutivi (art. 314 e 317). Si tratta cioè di valutare se possano ricorrere, in relazione all'elemento "induzione" ed all'elemento "appropriazione", sia il reato comune che quello proprio, o soltanto uno di essi.


1998 - Intervento:la completezza delle indagini [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

Sin dalle prime sentenze in tema di archiviazione, la Corte Costituzionale ha inteso ricostruire i rapporti fra il nuovo sistema accusatorio e il principio di ”completezza” delle indagini preliminari. Tale principio trae origine dalla regola dettata dagli artt. 326 e 358 c.p.p., secondo la quale il pubblico ministero ha l’obbligo di compiere “ogni attività necessaria” per poter poi assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. La norma evidenzia il carattere strumentale delle attività compiute in fase di indagini preliminari, rispetto alla conclusione di queste, e ne rimarca nello stesso tempo anche la caratteristica “aperta” alle esigenze difensive, sottolineando la necessità di compiere anche gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. Alcuni recenti orientamenti interpretativi che tendono ad estendere il contenuto costituzionale dell’obbligatorio esercizio dell’azione penale dilatandone la funzione (percepita come un obbligo di portare avanti la pretesa punitiva anche dopo l’esercizio vero e proprio), sono occasione anche per valutare il “contenuto probatorio” che è presupposto di tale esercizio. Non può esservi ragionevolmente esercizio dell’azione penale senza che l’opinione del pubblico ministero sulla fondatezza della notizia di reato sia adeguatamente supportata da fonti di prova. Questa opinione di fondatezza non può ricollegarsi ad una mera intuizione, ma deve essere puntualmente verificata sulla base degli accertamenti compiuti durante le indagini preliminari.


1998 - Non più automatica la sospensione della detenzione domiciliare in caso di allontanamento [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

La Corte costituzionale dichiara costituzionalmente illegittima l'automatica sospensione della detenzione domiciliare, applicata per motivi di salute, in caso di denuncia per il reato di allontanamento arbitrario dal domicilio previsto dall'art. 385 c.p. La detenzione domiciliare per motivi di salute tiene in equilibrio due esigenze: attribuire valore di pena alla misura alternativa e, nello stesso tempo, assecondare le esigenze poste da condizioni di salute che comportano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali. Qualora le opposte esigenze del valore di pena e delle esigenze terapeutiche vengano in conflitto, queste ultime non possono soccombere automaticamente. L'interruzione del rapporto terapeutico, determinata dall'accompagnamento del condannato in carcere, non tiene correttamente conto delle esigenze che l'istituto è chiamato a soddisfare. Trova accoglimento il profilo d'incostituzionalità concernente la ragionevolezza del sistema ai sensi dell'art. 3 Cost. in rapporto alla disciplina prevista per altre misure, al quale si unisce la ravvisata violazione dell'art. 32 Cost., in quanto la tutela della salute, nella disciplina censurata, soccombe comunque, senza che l'intervento del giudice possa bilanciare gli oppposti interessi in gioco.


1997 - Adempimenti civilistici e fiscali: la responsabilità penale del direttore amministrativo [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Va premessa la distinzione tra: 1) obblighi propri dell'imprenditore e degli amministratori posti a garanzia di specifiche tutele orientate prevalentemente ad impedire il verificarsi di certi eventi (sicurezza sul lavoro, ambiente, caratteristiche dei prodotti ecc.); 2) altri obblighi in cui le norme impongono specifiche assunzioni di responsabilità rispetto a quanto è imposto dalla legge a tutela del mercato, del fisco, dei creditori, e prevedono l'obbligatoria tenuta o formazione di scritture, denunce, documenti (di natura societaria, fiscale, valutaria, ecc.). Proprio il grande rilievo assunto dagli adempimenti di carattere societario e di carattere tributario ha determinato l'affermarsi della figura del direttore amministrativo. A parte i casi in cui il direttore, nella concreta vicenda societaria, assuma la veste di amministratore di fatto, il nodo principale è quello della responsabilità concorrente del direttore col titolare. I reati in materia societaria e fiscale sono prevalentemente "reati propri" che richiedono nel soggetto attivo una certa titolarità della qualifica. Anche chi non riveste tale qualifica può concorrere nel reato proprio come "estraneo". La stretta collaborazione fra amministratore e direttore non significa di per sé assunzione di responsabilità concorrente. Il punto che spesso porta alla responsabilità concorrente è la presenza, in capo al direttore amministrativo, di particolare competenza in rapporto a discipline complesse, specialistiche, soggette ad un'evoluzione rapida e molto ricca di elementi tecnici. Nei rapporti fra amministratore e direttore le peculiari caratteristiche della prestazione di quest'ultimo sono spesso giustificate e valorizzate proprio per l'inadeguatezza, per preparazione e per impegni, della figura dell'amminisratore. In questi casi la responsabilità concorrente del direttore amministrativo con l'imprenditore appare spesso configurabile in base alle regole del concorso di persone nel reato previste dal codice penale.


1997 - La responsabilità penale del direttore amministrativo: forma e rilevanza della delega [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'ambito di rilevanza della delega di funzioni non attiene all'esecuzione degli incarichi che l'amministratore affida al direttore senza avergli delegato settori di attività. L'incerta differenziazione fra i due piani, ricorrente talvolta nelle delibere dei Consigli di amministrazione, condiziona la giurisprudenza chiamata a risolvere il problema con argomentazione logica anziché basandosi sulla solidità dell'atto e sulla prova dell'effettiva assunzione degli obblighi delegati. La delega di funzioni attiene ai soli casi in cui l'amministratore ha inteso delegare completamente ad un altro soggetto, nel nostro caso il Direttore, l'intera responsabilità di un settore, nella specie quello tributario. Va sottolineato il rilievo deterrminante che assume la specificità di ogni ambito investito dalla delega di funzioni, in quanto gli obblighi dell'imprenditore, a seconda dei settori delegati, hanno contenuti e modalità di esplicazione assai differenti. In particolare occorre distinguere i casi in cui la posizione di garanzia dell'imprenditore, per l'adempimento dell'obbligo,è adeguatamente salvaguardata dall'esercizio della discrezionalità tecnica, da quelli in cui entra in gioco una personale assunzione di responsabilità che si materializza in un momento dichiarativo che deve essere formalmente in capo al titolare dell'obbligo. Gli obblighi tribustari sono "oggettivamente" delegabili, ma non c'è accordo sulla delegabilità dell'aspetto formale. Si affrontano due posizioni. Secondo alcuni il delegato può "sostituire" il delegante ad ogni effetto con la conseguenza che può assumere anche il ruolo formale che la legge riserva al titolare. Secondo altri, invece la delega può esonerare il delegante da responsabilità non sul piano oggettivo, ma su quello della colpevolezza. Si propende per il mantenimento dell'obbligo formale in capo al titolare "originario", anche se sarebbe opportuna una riforma legislativa che individui chiaramente la soluzione.


1997 - Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

Sono fondamentalmente due le ragioni che portano i moderni ordinamenti a realizzare un sistema autonomo e differenziato di diritto penale minorile. In primo luogo si intende assecondare con adeguata disciplina il dato d'esperienza secondo il quale la maturità in senso biologico, psicologico e sociale si acquisisce attraverso un percorso di crescita progressivo, variabile dal punto di vista soggettivo e fortemente condizionato da fattori esterni quali l'educazione e l'ambiente economico e sociale in cui il soggetto vive. In secondo luogo si vogliono predisporre istituti caratterizzati da adeguati contenuti educativi e socializzanti per far fronte ai problemi posti dal rilievo che la delinquenza minorile rappresenta in larga misura l'effetto di deprivazioni e condizionamenti negativi, ovvero la conseguenza di una non realizzata consapevolezza soggettiva dei doverosi limiti che comporta il vivere sociale. La politica criminale, nell'affrontare il tema della delinquenza giovanile muove dalla premessa che questa si radichi su difetti largamente correggibili, e privilegia i provvedimenti e gli interventi diretti alla rimozione delle cause del comportamento irregolare. In tal modo si rende effettivo il diritto dell'individuo ad un normale inserimento sociale, caratterizzato dall'assenza di deprivazioni e dall'acquisizione del limite del proprio agire. Un sistema di diritto penale minorile così caratterizzato rappresenta una sorta di "investimento" di cui beneficeranno individuo e società: se il soggetto ha commesso reati in età giovanile, la pena non deve pesare sulle opportunità che consentono di realizzare una futura vita adulta in condizioni di normale inserimento sociale. Per il conseguimento di tali obiettivi il nostro sistema penale minorile è caratterizzato da una serie di regole particolari che possono costituire di volta in volta: a) una specifica disciplina per i minori che dà vita ad istituti a loro esclusivamente riservati, oppure b) un insieme di deroghe a istituti previsti anche per gli adulti, e di adattamenti di tali istituti. Norme specifiche, deroghe e adattamenti tendono a disegnare un sistema differenziato in funzione delle specifiche finalità che il diritto minorile persegue. Tale specializzazione del sistema assume nel nostro ordinamento rilevanza costituzionale e gli istituti attraverso i quali si realizza riguardano l'intera realtà minorile (rapporti familiari, comportamento irregolare, educazione, formazione professionale, tutela della salute, ecc.), e rappresentano l'attuazione dell'art. 31 della Costituzione che, elevando al rango di norma costituzionale la tutela della gioventù, pone come specifico compito dello Stato il favorire "gli istituti necessari a tale scopo". La particolare considerazione che la Costituzione riserva alla tutela del giovane pone in capo a quest'ultimo un vero e proprio diritto ad una crescita normale e protetta che si inserisce nel novero dei diritti del cittadino cui l'ordinamento deve dare adeguata riposta. L'art. 31 Cost. impone inoltre di valutare in una luce del tutto particolare la funzione rieducativa della pena prevista dall'art. 27/3 Cost.. Nei confronti del minore autore di reati la preoccupazione deve infatti essere duplice: tutelarlo e rieducarlo. A tal fine vengono apprestati istituti che, privilegiando la tutela del minore, lo sottraggono al sistema regolare delle conseguenze penali, come meglio si approfondirà successivamente parlando di perdono giudiziale, di non punibilità per irrilevanza del fatto e di estinzione del reato per prova positiva.


1996 - Circostanze del reato e principio di colpevolezza [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Il tema dell'imputazione di circostanza, prima della legge n. 19/90, veniva ricondotto fra le ipotesi di responsabilità oggettiva per le quali si segnalava l'esigenza di adeguamento al principio di colpevolezza. Anche gli aggravamenti di pena, ed in special modo quelli che determinano una fuoruscita dalla cornice edittale del reato semplice avrebbero dovuto essere subordinati alla garanzia per il reo di poter aver luogo solo in presenza di situazioni riconoscibili ed evitabili. La razionalizzazione del sistema di imputazione per gli elementi costitutivi e per quelli accidentali del reato risente della necessità di individuare coefficienti per le circostanze che non si pongano in contraddizione con quelli richiesti per gli elementi costitutivi. Sono previsti, alternativamente, coefficienti reali o potenziali in quanto non mina la struttura delle fattispecie il prevedere un coefficiente doloso per il reato semplice ed accollare in base ad un coefficiente potenziale l'elemento circostanziale. Parimenti un coefficiente che ammetta la conoscenza reale per l'elemento accidentale che si colloca in un momento antecedente o concomitante alla condotta (e persino connesso all'evento nei casi di "colpa impropria") non è di per sé incompatibile con la struttura di una fattispecie circostanziata colposa. Le espressioni "conosciute", "ignorate", "ritenute inesistenti", che ripropongono quelle usate nella precedente formulazione dell'art. 59 c.p. impongono di approfondirne significato nella nuova collocazione in cui sono state utilizzate. A maggior ragione tale approfondimento si impone in relazione all'utilizzazione del termine "colpa" come situazione di rimprovero soggettivo da cui è dipesa la mancata conoscenza della circostanza. Le categorie del "conoscere" e del "non conoscere per colpa" riferite dal nuovo art. 59/2 c.p. al sostrato materiale della circostanza paiono evidenziare dunque un "contenuto colpevole" diversamente modulato da quello che caratterizza dolo e colpa. Non è solo in gioco la mancata enunciazione esplicita della rappresentazione di fatti futuri e si evidenzia anche come dato significativo un rapporto costruito su ipotesi alternative con il sostrato materiale del quale l'ordinamento intende garantire il rimprovero.


1995 - Recensione a G. Marconi "Il nuovo regime d'imputazione delle circostanze aggravanti. La struttura soggettiva" [Recensione in Rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La disciplina del 1930 dell'imputazione delle coircostanze aggravanti "sanciva la superfluità dell'instaurazione di un rapporto di intima compenetrazione tra fattore circostanziale e persona" ed era costruita dalla presunzione di conoscenza delimitata da deroghe. Su di esse, con particolare riguardo all'errore sull'offeso ed alle aggravanti che contengono un nucleo "colpevole" nella loro struttura, Marconi approfondisce il dibattito dottrinale. Sul nuovo volto dell'art. 59 c.p. e dell'imputazione soggettiva, privato della clausola di salvaguardia "salvo che la legge disponga altrimenti"" l'A. sottolinea criticamente la mancata previsione, pur contenuta in alcuni progetti di riforma del c.p., dell'applicazione putativa delle circostanze attenuanti, che rischia di determinare uno squilibrio commisurativo. Le aggravanti, per effetto dei contenuti colpevoli previsti dalla norma ( checonsistono in conoscenza, ignoranza per colpa e ritenuta insussistenza per errore determinato da colpa), mutuano eccessivamente i modi di disciplina dei requisiti oggettivi. Particolarmente delicato è tema della "conoscenza" che deve assumere il significato che attribuitole nella dottrina del dolo, e dunque ricomprendere la rappresentazione e la previsione, i tratti di conoscenza potenziale che il reo si raffigura proiettandoli sulle conseguenze della condotta.


1993 - Le disposizioni sul reato commesso dal minore [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

La trattazione è suddivisa in due parti. La prima ha come oggetto il minore e l'ordinamento penale e prende in considerazione i criteri in forza dei quali il minore può essere chiamato a rispondere penalmente in ragione dell'evoluzione della sua personalità, ovvero, se la sua maturità è esclusa, va esente da pena. La seconda parte riguarda gli istituti che regolano l'applicazione della sanzione penale ai minori. Sono esaminati gli istituti attraverso i quali è consentito al giudice di non infliggere la condanna al minore penalmente "maturo" (perdono giudiziale, irrilevanza dl fatto, sospensione del processo con messa alla prova), assieme agli adattamenti del sistema sanzionatorio rispetto a quello previsto per gli adulti, nei casi in cui la condanna è irrogata. Occorre al riguardo distinuere le ipotesi in cui la pena è sospesa, eseguita in prigione scuola, ovvero con modalità sostitutive ed alternative. Il sistema penale minorile si fonda sulla constatazione che la distinzione fra "maturi" e "immaturi" è insufficiente per risolvere i problemi che l'ordinamento deve affrontare per differenziare la risposta nei confronti dei minori autori di reati. Nella maggior parte dei casi il giovane, magari in maniera ancora approssimativa, si rende conto del "valore" (in termini di giudizio sociale) di quanto va compiendo ed ha un grado sufficiente di potenziale autocontrollo verso gli stimoli che condizionano l'agire individuale. Il sistema deve quindi affiancare le norme sull'imputabilità a quelle che selezionano le differenti esigenze da soddisfare, nell'interesse del minore, nei casi in cui sia inopportuno applicare la pena per ragioni di prevenzione speciale, specificando quali provvedimenti debbano essere adottati per intervenire su di essi senza applicare o eseguire la pena. Il minorenne fortemente condizionato dalla realtà esterna o da limiti propri, ma tuttavia già in grado di essere considerato maturo richiede interventi specifici che "prendono il posto" della condanna o della pena. La norma indica un criterio articolato e da individualizzare, e non possono dunque condividersi certe prassi giurisprudenziali che tendono quasi automaticamente ad inserire fra i non imputabili tutti i soggetti per i quali può affermarsi che l'età evolutiva ha posto problemi, che influendo negativamente sul reo, favorirono la commissione del reato. Le norme sull'imputabilità devono assolvere al loro esclusivo ruolo di individuare i soggetti maturi ed immaturi in rapporto al fatto commesso. Le esigenze di differenziare gli interventi nei confronti del minorenne in termini di prevenzione speciale vanno affrontate nell'ambito della cosiddetta commisurazione (in senso ampio) della pena, che per i minori deve potersi estendere sino alla valutazione dell'opportunità di applicarla o meno, sulla base di rigorosi criteri prefissati. Sono queste le ragioni che, per consentire il funzionamento di un ordinamento penale minorile differenziato, affiancano agli istituti di portata generale, applicabili anche agli adulti, quelli particolari che consentono di modulare specifiche e diversificate conseguenze sanzionatorie. Il reato commesso dal minorenne è infatti fenomeno con peculiarità tali da richiedere un intervento specifico in funzione delle esigenze di tutela della gioventù elevate dall'art. 31 Cost.a principio al quale il legislatore deve sempre ispirarsi.


1989 - La Convenzione europea per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti inumani o degradanti [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". Questa dichiarazione, formulata in termini assoluti, concisi e conclusivi, senza deroghe e specificazioni, assegna all'art 3 della convenzione europea dei diritti dell'upmo un'importanza basilare nel quadro del patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, richiamato nel preambolo come premessa culturale che garantisce ed assicura alle persone una vera e propria garanzia collettiva. La prassi applicativa delle tutele dei diritti dell'uomo è effettivamente idonea a permettere ovvero a contrastare comportamenti, ai sensi dell'art. 3, in base alla capacità di intervenire sia con riferimento a forme di compressione del diritto apparentemente legittime,sia superando le barriere che impediscono la possibilità di fare venire alla luce tali comportamenti. In entrambi i casi sono necessari strumenti che consentano di ovviare agli specifici inconvenienti. Ad ovviare alle lacune dell'effettività della tutela provvede il giudizio innanzi alla Corte, che si appunta sui fatti accertati e non sull'astratto quadro normativo dello Stato, che potrebbe dunque sia vietarli, sia tollerarli. Ad ovviare alla possibilità di occultarli o di impedire che siano scoperti intende provvedere la Convenzione attraverso il sistema delle visite. Le parti contraenti, al riguardo, autorizzano l'apposito Comitato europeo per la prevenzione della tortura a visitare ogni luogo, dopo avere notificato l'intenzione di effettuare la visita, imponendo che il Comitato sia agevolato nei suoi compiti. Lo studio approfondisce particolarmente la giurisprudenza della Corte che dà la definizione della tortura e dei trattamenti in questione, ed esamina i numerosi precedenti sottoposti al giudizio della Corte europea dei diritti dell'uomo.


1989 - Sospensione del processo e messa alla prova dell'imputato minorenne [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato minorenne è prevista dagli artt. 28 e 29 delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni (1988) e prevede che, all'udienza preliminare o al dibattimento, il processo possa essere sospeso fino ad un anno (ovvero a tre anni per i delitti più gravi) per valutare la personalità del minore in chiave “probatoria” e cioè allo scopo di assecondare positivamente il comportamento e l'evoluzione della personalità. Il reo è affidato al servizio sociale minorile per l'osservazione, il trattamento ed il sostegno e possono essere impartite prescrizioni per riparare le conseguenze del reato e per promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. La sospensione può essere revocata in caso di reiterate e gravi trasgressioni delle prescrizioni impartite. Decorso il periodo di sospensione, il reato è dichiarato estinto se la prova abbia dato esito positivo. In caso contrario il processo prosegue ed è aperto, oltre che alla condanna, a tutte le altre opportunità fornite dalla legge per i minori. L'ìistituto si inquadra fra le misure sospensivo - probatorie ed instaura un meccanismo di prevenzione speciale focalizzato sul comportamento del minorenne, teso a fare evolvere la sua personalità e finalizzato alla valutazione dei risultati del trattamento. Si distingue dal perdono giudiziale nelle modalità della prevenzione speciale, conseguente alla diversa tipologia dei destinatari. Il perdono giudiziale assolve alla funzione di evitare che il minore sia esposto a rischio di stigmatizzazione nei casi in cui,anche senza specifici interventi, la condotta criminosa non appare destinata a ripetersi in quanto si può fare leva sulle risorse del reo. La sospensione del processo vuole parimenti evitare il rischio di stigmatizzazione, ma lo fa ricorrendo ad interventi modulati, su base empirica ovvero prìsicologico-riabilitativa, per rispondere all'esigenza educativa e rieducativa. La misura, quindi, è appropriata sia nei casi in cui il soggetto evidenzia la necessità di adeguato trattamento, sia nei casi in cui la prognosi si presenta ancora incerta e richiede approfondimenti, stimoli e trattamenti adeguati per diventare più solida, lasciando aperta la pressione esercitata dall'eventualità che il processo possa riprendere e porti alla condanna.


1988 - L'affidamento in prova al servizio sociale dopo la riforma [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'affidamento in prova al servizio sociale asseconda l'esigenza di prevedere, accanto alla tradizionale esecuzione della pena detentiva, un misura incentrata sul trattamento in libertà, senza permanenza in carcere, come alternativa alla detenzione finalizzata all'apprezzamento del risultato dell'intervento effettuato sul soggetto e sul rispetto di prescrizioni ed obblighi. La riforma del 1986 modifica la disciplina del 1975, consapevole che i rischi per la prevenzione generale e l'allarme sociale si manifestano col fallimento dello scopo rieducativo più che con l'attenuazione del rigore sanzionatorio. La riformulazione dei criteri di discrezionalità si mostra attenta ai profili costituzionali di utilità per l'azione rieducativa e di idoneità alla prevenzione, scopo ultimo dell'azione rieducativa. Il ridimensionamento dell'osservazione della personalità in carcere (un mese), e la previsione di un quadro di possibile deroga, suscita perplessità dal punto di vista dell'efficacia risocializzante, tanto che "l'inconsistenza del fondamento della deroga ci pare individui un rilevante contrasto con l'art. 3 Cost che dovrebbe essere opportunamente posto al vaglio della Corte". L'istituto non risolve chiaramente il problema della natura "esecutiva" ovvero "sospensiva", così che "l'apparente inconciliabilità degli argomenti ricavabili dalla disciplina sembrerebbe dare supporto alla rassegnata applicazione dell'istituto in questa sua unitaria incoerenza". "Senonché, anche seguendo tale via, si mostrano evidenti i gravi inconvenienti quando si deve prendere in considerazione solo una parte del periodo di affidamento, interrottosi per effetto di vicende esecutive". Su questa base la Corte ha riconosciuto il valore di pena in alcune situazioni, createsi per cause indipendenti dal comportamento, osservante delle prescrizioni, quando si determina la necessità di valutare periodi "in cui il soggetto subisce limitazioni con contenuto afflittivo della propria libertà personale, collocando l'affidamento fra le modalità esecitive della pena". Il ripetersi delle decisioni della Corte basate su detta argomentazione, lascia intendere che l'orientamento assunto finirà col caratterizzare la natura dell'istituto.


1988 - L'errore nei delitti concernenti i trasporti abusivi [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

La Corte di Cassazione (sent. 5 maggio 1987) conferma il suo risalente orientamento in tema di "errore sulla norma integratrice di legge penale" che, qualche mese dopo, sarà ridimensionato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/1988, che riconoscerà l'efficacia scusante dell'errore inevitabile. I giudici di merito ritengono che la licenza per il trasporto di "cose proprie", la cui mancanza integra il delitto di cui all'art. 46 l. 298/1974, possa essere surrogata dalla "autorizzazione all'agganciamento del rimorchio al trattore", la cui presenza già legittimerebbe il trasporto. La nota ripercorre i contenuti di numerose decisioni che, nell'aultimo decennio, ritengono applicabile l'art. 5 in situazioni definite dalla legislazione complementare, considerate "integratrici". La giurisprudenza trascura l'importanza della "percezione effettiva costruita sull'esperienza che il soggetto ha di uno specifico obbligo", e ritiene che la valutazione di tale profilo conoscitivo non possa avere accesso, equivalendo all'addurre a propria scusa l'ignoranza del precetto. Nel caso specifico è ritenuta itrrilevante la convinzione di rientrare nella situazione in cui si possono eseguire "trasporti di cose in conto proprio solo se si è possesso di atto che lo consenta". "Si è dunque determinato un errore sul fatto" nel senso che il reo volle un comportamento diverso da quello vietato, credendo, come il primo giudice, di essere in possesso di un titolo di legitttimazione "fondato sull'erronea percezione della sola funzione <<tecnica>> di un diverso documento rilasciato dalla medesima autorità e cioè sulla ampiezza del precetto".


1988 - L'evoluzione legislativa della disciplina delle circostanze del reato [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

Le circostanze sono elementi accidentali del reato, costruiti in forma normalmente tipizzata, alle quali consegue un aumento ovvero una diminuzione di pena. Il divario tra fattispecie astratta e traduzione nella pena per il reato commesso non è colmato soltanto da citeri discrezionali, ma anche da elementi tipici che offrono maggiori garanzie per adeguare la pena al disvalore in modo uniforme. Non tutte le circostanze hanno un sostrato tipico (attenuanti generiche) anche se tutte impongono di individuarlo e tradurne la portata nella quantificazione della pena. In caso di concorso eterogeneo di circostanze le modifiche del 1974 hanno imposto un generalizzato bilanciamento che coinvolge sia le circostanze ad efficacia comune (che aumentano o diminuiscono la pena giù quantificata cambiandola per effetto di una frazione o di una moltiplicazione) e quelle ad efficacia speciale (che indicano un nuovo quadro edittale per il reato circostanziato). Siccome le ragioni sostanziali delle due modalità non sono facilmente assimilabili, la scelta ha portato a prevedere, in singole norme successive, deroghe a tale modalità di comparazione. Per quanto attiene all'imputazione delle aggravanti, che l'art. 59 c.p. prevede senza rilievo per la colpevolezza, s'impone di accogliere l'indicazione dei vari progetti di riforma che addivengono ad un'imputazione colpevole che valorizzi la colpevolezza come elemento per la quantificazione dell'entità dell'aumento di pena.


1987 - Colpevolezza ed elemento soggettivo nell'illecito penale amministrativo [Capitolo/Saggio]
Pighi, Giorgio
abstract

L'art. 3 della l. n. 689/1981 disciplina l'"elemento soggettivo" dell'illecito amministrativo e dispone che "nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa". Una disciplina con tali caratteristiche non è dissimile, dal punto di vista descrittivo, dalla disciplina dell'elemento soggettivo nelle contravvenzioni. La norma, tuttavia, rapportandosi nel sistema con le sole norme della l. 689, a differenza di quanto accade per i reati, richiede sempre che ricorra almeno la colpa, non trovando limiti in discipline specifiche riguardanti le circostanze (ad es. cfr. art. 669 c. p. esercizio abusivo di mestiere girovago in caso di violazione di provvedimento dell'autorità non conosciuto), gli eventi aggravatori che determinano un autonomo quadro sanzionatorio, e tutte le forme di divergenza fra voluto e realizzato, come l'offesa recata a persona diversa, la realizzazione di un evento diverso da quello voluto o il mutamento del titolo dell'illecito per taluno dei concorrenti (ad es: Tizio crede di concorrere nell'esercizio abusivo di mestiere girovago dellart. 669 c.p. ma in realtà concorre, senza saperlo, con uno straniero punito molto più severamente, per lo stesso fatto, ai sensi dell'art. 124 del TULPS in forza dell'art. 38 della l. 689/1981). Nell'illecito amministrativo tutte le situazioni suddette sono da considerare come articolazioni del fatto tipico tutte sullo stesso piano, soggette alla disciplina dell'elemento soggettivo dettata dall'art. 3. In tema di elemento soggettivo la depenalizzazione, ad eccezione degli illeciti con struttura compatibile solo con il dolo, ha allargato alla colpa alcune ipotesi di delitti depenalizzati puniti con la sola multa. Quanto alla rilevanza dell'errore sono caratteristiche imprescindibili l'essenzialità e la non evitabilità, in una norma incentrata sulla ricostruzione dell'intenzione dell'autore di realizzare un fatto identico ovvero diverso da quello vietato. Conseguentemente appare pienamente confacente alla disciplina dell'elemento soggettivo negli illeciti amministrativi la ricostruzione giurisprudenziale nota come "buona fede nelle contravvenzioni.


1987 - Il reato commesso dal minore [Altro]
Pighi, Giorgio
abstract

"L'accertamento dell'imputabilità impone l'instaurazione di un rapporto fra il reato e il suo autore e quindi, comportando indagini sull'individualità umana, costringe il giudice a spostare l'attenzione sull'agente portandolo ad occuparsi di questioni che concernono la personalità ed addentrandosi sul terreno che appartiene ad altre discipline, i cui risultati danno un contribuito determinante. La nozione di maturità può essere delineata sotto due diverse prospettive. In astratto è rappresentata dal complesso delle condizioni psicologiche imprescindibili per il suo costituirsi, poiché senza di esse non può esservi maturità di alcun genere. Da un punto di vista contenutistico, e cioè rapportato ad un sistema concreto di beni e valori, essa implica il rapporto con una realtà socioculturale determinata. Seguendo esclusivamente la prima impostazione riusciamo a formulareun concetto valido sul piano teorico, ma inutilizzabile su quello applicativo. Ne deriva che, sul nostro terreno, dovremo necessariamente tenere conto anche del dato storico, in quanto non è pensabile maturità psicologica che non si compia come maturità sociale, come dimostra ogni considerazione del problema che non si voglia porre sul piano meramente biopsicologico, così come non è pensabile maturità sociale che non supponga maturità psicologica. Anche una nozione di maturità così integrata dal dato psicologico con quello sociale, rischia di essere insufficiente sul piano giudiziario, se non si aggiunge un ulteriore elemento di valutazione: il condizionamento negativo. Quest'ultimo può anche determinare, in soggetti capaci di intendere e di volere in termini psicologici nel senso indicato, un ritardo nella maturazione sociale, in quanto quest'ultima richiede anche l'assimilazione profonda dei valori socioculturali del gruppo che si propongono al singolo.


1987 - La sospensione condizionale e la liberazione condizionale nella legislazione premiale [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

La legge n. 304/1982, nel quadro delle "misure a tutela dell'ordinamento costituzionale", oltre ad ipotesi di non punibilità in caso di dissociazione e recesso dal dai gruppi terroristici, contiene una serie di norme "premiali". Quella interamente dedicata alla sospensione condizionale della pena (art. 7) eleva i limiti che consentono l'applicazione e la reiterazione dell'istituto. Quello ordinario è portato da due a tre anni. La durata della condizione è portata a dieci anni per i delitti e cinque per le contravvenzioni. Si introduce una norma specifica (art. 8) anche per la liberazione condizionale, applicabile alla sola condizione che il reo abbia espiato metà della pena. Il legislatore persegue la finalità premiale ampliando il contenuto "di favore" degli istituti e sottoponendosi all'arduo sforzo di fare convivere tale finalità con quella di prevenzione speciale. L'utlilizzo premiale degli istituti della prevenzione speciale è difficile da realizzare e da giustificare col mero allargamento dei contenuti di favore. La spinta incentivante verso la collaborazione, avendo come elemento di comparazione "chi non collabora", rende problematica la spiegazione di una maggiore apertura aii contenuti di prevenzione speciale, propri dgli istituti, costruita su tale discrimine. L'uso improprio degli strumenti della specialprecevenzione per fini premiali appare di tutta evidenza per la liberazione condizionale. La pena già fortemente ridotta per effetto dei meccanismi premiali viene in sostanza espiata, grazie all'istituto, per una metà in carcere e per l'altra metà in libertà vigilata. L'istituto subisce un'evidente distorsione rispetto ai suoi scopi e la versione "premiale" non appare in alcun modo finalizzata a soddisfare particolari esigenze rieducative capaci di arricchire i maggiori spazi di libertà, ma determina solamente un ulteriore premio.


1985 - Riforma della sospensione condizionale e trattamento del tossicodipendente nel disegno di legge n. 2609 [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Il disegno di legge n. 2609, presentato dal Ministro Mino Martinazzoli alla Camera l'1 marzo 1985 per modificare, fra l'altro, la disciplina della sospensione condizionale (poi decaduto per la fine della legislatura), aveva l'obiettivo di introdurre nel sistema sanzionatorio disposizioni concernenti il reato commesso dal tossicodipendente, volte a favorire l'allontamento dalla droga e dalla dipendenza da essa. Gli strumenti prescelti valorizzano il meccanismo della sospensione condizionale che, inflitta la pena, ne impedisce l'esecuzione immediata, ma non quella futura se il condannato demerita. I contenuti che spingono il condannato a lucrare l'estinzione della punibilità possono esere modulati in funzione di specifiche esigenze di prevenzione speciale. Alla condizione - base che il condannato si astenga dal commettere ulteriori reati entro un certo termine si può aggingere il rispetto di prescrizioni imposte o volontariamente accettate prima della sentenza che consentono di farsi carico, potenzialmente, di molteplici esigenze di trattamento terapeutico e risocializzante; di prevenzione di deterioramento in carcere della personalità; di valorizzazione del recupero sociale eventualmente già avviato, ecc. Accanto alla previsione di un circoscritto "divieto" durante la pendenza della condizione (riguardante la frequentazione di luoghi, persone o gruppi di persone), il disegno di legge prevede la "sottoposizione ad un trattamento terapeutico, nei casi in cui il reato sia stato commesso in stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostenze stupefacenti, sempre che questo trattamento sia stato richiesto dal reo". La disciplina proposta (mai più ripresa) potrebbe configurarsi come inserita in un vero e proprio trattamento progressivo, inquadrata come meccanismo di rafforzamento della prevenzione speciale, in una prospettiva rieducativa, arricchita da contenuti terapeutico-riabilitativi.


1984 - Il perdono giudiziale [Monografia/Trattato scientifico]
Pighi, Giorgio
abstract

Il perdono giudiziale presuppone che la potestà punitiva sia intesa, non come dovere assoluto del giudice di applicare la pena in presenza di un reato, ma come esercizio della stessa qualora se ne verifichino gli estremi, con la conseguente individuazione dei poteri in forza dei quali il giudice può astenersi dal condannare. Qualora il limite della causa estintiva sia interno all'istituto (come il decorso del tempo nella prescrizione) non si pone alcun problema di tensione tra estinzione del reato ed irrinunciabilità della pena in quanto il limite alla punibilità è posto in maniera uniforme ed astratta dal legislatore. L'antinomia crea invece difficoltà di inquadramento per le astensioni fscoltative dall'irrogazione della pena. Nel perdono giudiziale la valutazione discrezionale è circoscritta, oltre che da limiti interni e dunque obiettii come quelli indicati, anche da limiti esterni discrezionali dell'istituto. Non è configurabile alcun margine ulteriore rispetto ai criteri onnicomprensivi dell'art. 133 c.p. Il perdono giudiziale si distingue dalle altre cause estintive perché presuppone l'accertamento della responsabilità del reo. La deroga al principio regolare dell'irrinunciabilità della pena impone di individuare correttamente il fondamento dell'istituto in relazione alle finalità della pena. Il sistema penale richiede equilibrio fra reato accertato e pena inflitta in ossequio al principio di uguaglianza, ma si rimane nella ragionevolezza allargando i margini della discrezionalità, in funzione delle esigenze di prevenzione generale, anche considerando la possibile "dannosità" della pena, così da escluderla. La prevenzione speciale, da criterio per la determinazione della pena o delle sue modalità esecutive assurge a ragione fondante della verifica sull'opportunità o meno di irrogarla. L'istituto, dunque, si colloca nella prevenzione speciale post delictum. Nel caso in cui tale finalità sia affidata alla pena si fa leva sull'effetto dissuasivo oltre che sull'efficacia risocializzante dell'esecuzione, mentre col perdono giudiziale si omette l'applicazione della pena e si conta sulle "risorse" del reo e, indirettamente, si evita il contagio carcerario e si impedisce ogni processo di stigmatizzazione a causa del reato commesso. La mancata applicazione della pena rientra nell'ampia nozione di rieducazione che sta ad indicare un fine da raggiungere e non necessariamente un intervento nel senso di "trattamento" nei confronti del soggetto. Nel perdono giudizale la prevenzione speciale è legata alla persona del reo ed alle sue caratteristiche ritenute affidabili e su di essa fa leva al fine di evitare la futura commissione di reati. L'istituto si fonda quindi su esigenze special-preventive di tipo rieducativo e, pur non potendo esser considerato né una pena né una sanziona elternativa, appare tuttavia strettamente connesso al sistema sanzionatorio.


1984 - L'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato nei reati puniti con pena congiunta [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

L'art. 77 della legge n. 689/1981 prevedeva la prima forma di "patteggiamento" introdotta nel sistema italiano, dando la possibilità di applicare una sanzione sostitutiva (pena pecuniaria sostitutiva, semidetenzione o libertà controllata) su richiesta dell'imputato e determinando l'estinzione del reato. Il secondo comma dell'art. 77 richiamava genericamente le norme sull'applicazione di dette sanzioni, senza risolvere alcuni nodi interpretativi, primo fra tutti quello della "sorte" della pena pecuniaria edittale prevista dal reato per il quale fosse applicato il "patteggiamento" con sostituzione della pena detentiva.Appare criticabile la sentenza annotata della Cassazione (7.11.1982). Imporre il ragguaglio della pena pecuniaria nella corrispondente pena detentiva comporta un ingiustificato aggravio non previsto dalla legge in violazione del principio nulla poena sine lege (art. 25 comma 2 Cost ed art. 1 c.p.). Parimenti estranea alla legge la soluzione del primo giudice che aveva compiuto un'operazione non prevista di "trasformazione" dell'ammenda in pena pecuniaria sostitutiva. Fra le soluzioni proposte si rileva quella "massimalista" che esclude dal "patteggiamento" i reati puniti con pena congiunta e quella "eclettica" che porta ad una doppia pronuncia: sanzione sostitutiva della pena detentiva alla quale il giudice "aggiunge" l'ammenda. La prevalente dottrina appare orientata ad una sorta di soluzione "minimalista" che considera, per così dire, azzerata la pena pecuniaria come "ulteriore beneficio tendente ad influire sul soggetto affinché vi ricorra, secondo una ratio di snellimento dei processi" alla quale deve accedersi in attesa di intervento legislativo che risolva l'evidente carenza normativa.


1984 - L'inosservanza delle prescrizioni (art. 66, legge 24 novembre 1981, n. 689) [Relazione in Atti di Convegno]
Pighi, Giorgio
abstract

Occorre circoscrivere le caratteristiche dei comportamenti del condannato che determinano l'eliminazione della sostituzione ed il ripristino della pena detentiva, individuando gli spazi del potere discrezionale ed i criteri del suo esercizio. La trasgressione non può consistere nel mero inadempimento di obblighi, ma deve tradursi nell'attenuazione del contenuto afflittivo della sanzione. Il fatto censurato, inoltre, deve avere caratteristiche lesive apprezzabili e non potrà consistere nell'impegno inadeguato a dare corso a quanto prescritto o nella trascuratezza nell'uniformarsi a qualche obbligo, ma nella ben più significativa "violazione della prescrizione". Quanto viene contestato al condannato, inoltre, deve consistere in fatti commessi volontariamente e dovrà conseguentemente essere esclusa la conversione (che riguarda soltanto la semidetenzione e la libertà controllata) sia quando l'accaduto sia incolpevole, sia quando poteva essere evitato con maggiore diligenza, come in caso di tardivo rientro nell'abitazione, prescritto nelle misure indicate.


1984 - La Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sul congedo penitenziario [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La Récommandation n. R (82) 16 del Consiglio d'Europa invita gli Stati aderenti a consentire provvedimenti di Congedo penitenziario, a favore dei detenuti, nella misura più larga possibile e per la pèiù ampia gamma di ragioni mediche, educative, professionali, familiari e sociali. Per Congedo penitenziario, un istituto non previsto dall'ordinamento italiano, si intende la possibilità data ad un detenuto meritevole di fiducia di trascorrere un periodo di qualche giorno in libertà, per assecondare un'esigenza specifica. Il Consiglio d'Europa non ne dà la definizione precisa, ma l'istituto si deistingue dai permessi e dalle licenze in quanto il periodo trascorso in "congedo penitenziario" non viene ordinariamente computato come pena espiata negli ordinamenti in cui è previsto. Viene individuato come limite all'istituto l'incompatibilità con la sicurezza pubblica. Per garantire un'effettiva attuazione della misura, il Consiglio d'Europa si preoccupa di evitare che possano verificarsi limitazioni ingiustificate, nell'accesso alla misura, per gli stranieri e per coloro che non hanno stabili e favorevoli condizioni familiari e suggerisce, inoltre, stretti rapporti con le autorità e le Istituzioni territoriali.


1984 - La Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sulla detenzione ed il trattamento dei detenuti pericolosi [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La Récommandation n. R (82) 17 enuncia tre direttrici fondamentali in tema di detenzione e trattamento carcerario dei soggetti pericolosi che consistono: 1) nella "eccezionalità" dell'adozione delle misure di sicurezza rafforzata; 2) nella "temporaneità" in funzione della perdurante pericolosità; 3) nella "particolarità dei problemi di umanizzazione" che si pongono a causa del maggiore rigore della detenzione. Il criterio della eccezionalità attribuisce un significativo rilievo al controllo della motivazione per dare fondamento alle deroghe che vengono poste ai principi generali che, possono essere giustificate solamente da specifici elementi. La temporaneità assume specifico rilievo ai punti 4 ed 8 della Raccomandazione che invita gli Stati a mettere in atto un vero e proprio adattamento delle restrizioni senza soluzione di continuità ed una loro revisione regolare, per garantire che la durata della detenzione di sicurezza rafforzata ed il grado di sicurezza non eccedano la necessità. Quanto ai problemi di umanizzazione il Consiglio d'Europa sottolinea la necessità di controbilanciare con azioni specifiche gli effetti negativi delle condizioni di sicurezza e di accordare la massima attenzione alle ricadutre sulla salute che potrebbero manifestarsi, curando in modo particolare l'adeguatezza dei mezzi e degli ambienti e la formazione del personale.


1984 - Le cause di revoca delle pene sostitutive [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

L'introduzione di pene sostitutive, limitative della libertà personale ma di contenuto diverso rispetto alla detenzione, subordinate a condizioni che tengono conto dei precedenti penali e sono caratterizzate da prescrizioni per il condannato, pone il problema della sorte di tali sanzioni in caso di: 1) inosservanza degli obblighi imposti; 2) sopravvenienza di un diverso status soggettivo. Il legislatore, scartata l'ipotesi di configurare un autonomo reato, possibile per la sola ipotesi dell'inosservanza, opta per l'aggravamento o la revoca della sanzione da espiare. La disciplina della revoca delle sanzioni sotitutive deve conciliare le due concorrenti necessità. Occorre assicurare un accertamento giudiziale assitito dalle opportune garanzie, con i conseguenti tempi lunghi rispetto all'entità della pena in esecuzione e, inoltre, consentire una decisione in tempo utile, prima cioé che le sanzioni sostitutive, e con esse le pene inflitte, siano interamente espiate. Le contrastanti esigenze legate alla revoca avrebbero potuto essere appagate prevedendo una rapida istruttoria con le garanzie difensive innanzi al magistrato di sorveglianza, con la possibilità di sospendere l'esecuzione e lasciando alcuni limitati obblighi, seguita da una decisione de plano del giudice collegiale.


1982 - Trattamento progressivo in semilibertà e pena dell'ergastolo [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

La Sezione di Sorveglianza di Firenze ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 50 dell'Ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) in quanto non consente di applicare la semilibertà si condannati all'ergastolo. Assume rilievo il coordinamento solo parziale fra la misura alternativa della semilibertà e l'istituto della liberazione condizionale che è limitato, senza motivo valido, alle sole pene temporanee. Per i condannati all'ergastolo è possibile la liberazione condizionale ma non la semilibertà e risulta irragionevolmente mortificato il trattamento progressivo, che dovrebbe sempre accompagnare il condannato attraverso un crescendo di opportunità e con l'allentamento graduale dei vincoli della restrizione carceraria. Considerando che la stessa Corte costituzionale ha affermato la necessaria incidenza del principio rieducativo sull'espiazione dell'ergastono, sarebbe necessaria una riforma che, rispettando i parametri di pena che delimitano i due istituti al momento, porti alla semilibertà dopo sedici anni e sei mesi di pena scontata.


1977 - Pluralità di delitti e reiterazione di perdono giudiziale [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

Il perdono giudiziale, in base all'art. 169 c.p., può essere concesso una sola "volta" ed è applicabile anche se il reo debba rispondere di più reati. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 154/1976 risolve la disparità di trattamento nei confronti del minorenne che si vedeva negare il perdono giudiziale perché già concesso, qualora fossero instaurati più procedimenti penali e non un solo procedimento in cui i diversi reati furono giudicati contestualmentei per connessione soggettiva. La Corte risolve il problema della disparità di trattamento ammettendo la reiterazione del perdono giudiziale quando i vari reati, in base al criterio cronologico, avrebbero potuto essere giudicati riunendo i vari procedimenti. La decisione della Corte, nella sua portata estrema, ammette la nuova applicazione del perdono giudiziale quando l'ulteriore reato fu "commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono" e cioé al suo passaggio in giudicato. La Corte specifica altresì - non richiesta - che non deve essere superiore a due anni il "cumulo" delle pene che , applicando il perdono, il giudice non ha inflitto. L'affermazione della Corte suscita perplessità in quanto l'art. 169 c.p. (la cui disciplina va integrata col limite di pena in concreto previdto dall'art. 20 della legge minorile) parla di pena "al singolare" per il reato commesso. L'interpretazione prevalente, in sede applicativa, ha sempre visto fare riferimentoalla pena inferiore ai due anni valutando singolarmente i reati.


1977 - Tutela delle acque dall'inquinamento e fatti previsti come reato da precedenti disposizioni [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

Lo scritto annota una sentenza di merito che, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, risolve alcuni profili significativi legati alla ecente entrata in vigore della legge n. 319/1976 (c.d. "legge Merli". Non può costituire caso fortuito, tale da escludere la colpa, l'eccezionalità delle precipitazioni quando vi sia un collettore che porta a valle le acque potenzialmente inquinanti in qualsiasi circostanza. Il reato di illecito sversamento di sostanze atte a danneggiare la fauna ittica (previsto dalla legge sulla pesca n. 1604/1931) è fattispecie di pericolo che dunque non perde il suo carattere offensivo se sono già presenti sostenze inquinanti nel corso d'acqua in quanto, ovviamente, si prescinde dall'eventuale danno arrecato ai pesci.La terza e più significativa questione affrontata riguarda la causa speciale di non punibilità, che si estende anche ai fatti già accertati all'entrata in vigore della nuova legge, che richiede due elementi concomitanti: la presentazione della domanda di autorizzazione e l'adozione di tutte le misure atte ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamente. La mancata adozione di qualsiasi misura determina l'inapplicabilità della causa di non punibilità, per difetto di uno dei requisiti anche se il termine per valutare la domanda non sia ancora scaduto.


1976 - Condizione giovanile, controllo sociale, giustizia minorile [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Esaminate le notizie di reato pervenute nell'anno 1971 alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni di Bologna e di Milano, sono evidenziati alcuni dati significativi sulle caratteristiche sociali dei denunciati. I nati fuori distretto raggiungono il 23,7% (Bologna) ed il 60,2 % (Milano). La diversa incidenza non altera il rapporto tra minorenni denunciati e popolazione residente, che dà un indice 56 a Milano e 53 a Bologna (X - centomila - anno). Risulta forte l'incidenza delle condizioni sociali ed il dato condiziona la scelta della condanna come ultima ratio. L'incidenza complessiva di condanne e sottoposizioni al riformatorio giudiziario è infatti bassissima (0,5 % Bologna e 2,1% MIlano). Nelle sentenze pronunciate a Bologna prevale il perdono giudiziale (36,6 %) in quelle di Milano il difetto di imputabilità (68, 1 %) "Le attuali caratteristiche della condizione giovanile nella realtà italiana non sembrano imporre, a breve scadenza un mutamento di indirizzo di politica lesgislativa nei confronti della devianza che la caratterizza. La possibilità di intervenire con provvedimenti rieducativi o, viceversa, di tenere lontano il minore dall'istituto, salvaguardandolo,ha risentito negli ultimi anni delle forti riserve avanzate sulle Case di rieducazione".


1976 - Criminalità, devianza, ordine pubblico [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Vengono msse a sistema alcune critiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152 "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico", la c.d. "Legge Reale". "L'inefficienza tecnica delle attività giudiziarie, dovuta in parte a carenze legislative, ha causato vuoti nell'intervento, nel senso che non è riuscita ad impedire che, su questo tessuto connettivo di traffici e di attività oltre i limiti del lecito, potessero organizzarsi veri e propri centri di potere, gestiti da individui sufficientemente nascosti e potenti da non venire incolpati, che utilizzano questa realtà umana per l'esecuzione materiale, non più di piccoli reati di scarso rilievo, ma di operazioni illecite tali da causare giri economici di grande entità" (pag. 16). "La legge, contro la mafia, tende ad interferire con tale tipo di organizzazione criminale, sia inasprendo le pene per alcuni reati commessi dagli individui indiziati di appartenervi, sia allontanando questi ultimi dal luogo di residenza. Sull'efficacia del primo tipo di provvedimento non si può avere prospettiva alcuna di risultato dato che le ragioni del fenomeno, radicate in uno specifico ambiente culturale, continuano a spiegare i loro effetti indipendentemente dal deterrente della pena, anche in relazione all'omertà che copre l'attività mafiosa; riguardo al secondo è possibile addirittura affermare che il provvedimento legislativo ha peggiorato la situazione rendendo possibile alle organizzazioni criminali in esame di commettere gravissimi reati in zone in cui prima non oiperavano" (pag. 18).


1976 - Identità di trattamento in situazioni diverse nei confronti del minore deviante di difficile guida [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Il R.D.L. 1404/1934 (legge minorile) prevede due misure amministrative preventive: la "Libertà controllata" e la "Casa di rieducazione". Quest'ultima comporta la permanenza in un'istituzione, senza effettive possibilità di impedire l'allontanamento. Partendo da una scheda personale del Tribunale per i minorenni di Bologna viene approfondito l'istituto della c.d. "dichiarazione di irrecuperabilità" (art. 29). Il Tribunale può "trasformare qualsiasi misura disposta in altra, che appaia più idonea ai fini della rieducazione ... e del ... progressivo reinserimento nella vita sociale" e può ordinare "la cessazione delle misure disposte ... in ogni tempo .. quando per le ... condizioni fisiche o psichiche nessuna misura possa considerarsi idonea alla ... rieducazione". La norma viola il principio di uguaglianza (art. 3 Cost) sia perché abdica al dovere di rimuovere gli ostacoli alla rieducazione ed alla crescita del minore, sia perché uniforma la risposta del sistema a tutte le differenti situazioni di difficile guida in una sorta di "presa d'atto" della mancanza di strategie rieducative adeguate per farsi carico dei casi più difficili e problematici. Nei confronti del minore "le istituzioni rieducative sono autorizzate ad allontanarlo e ad escludere qualsiasi misura alternativa senza attuare alcun provvedimento alternativo".


1976 - La capacità di intendere e di volere dei minori fra i quattordici ed i diciotto anni nella giurisprudenza della Cassazione [Articolo su rivista]
Pighi, Giorgio
abstract

Il codice penale italiano individua cinque cause di esclusione della capacità di intendere e di volere del reo. Due hanno carattere patologico (infermità e sordomutismo), due derivano dall'assunzione di sostanze (alcool o stupefacenti), una è legata al fisiologico processo dell'evoluzione fisica e psichica fino alla maturità (minore età). Il legislatore non definisce, nella minore età, la causa dell'anomalia rilevante, che è invece indicata negli altri casi. Tale profilo rilevante, nella minore età, va conseguentemente individuato nell'insufficiente maturità e cioé della non avvenuta ultimazione del normale percorso di crescita della capacità di intendere e di volere. Gli elementi da ricostruire, caso per caso, per affermare ovvero escludere la maturità del minore sono gli stessi che l'art. 85 c.p. indica come parametri di riferimento per accertare ogni causa rlevante di esclusione dell'imputabilità: il fatto commesso, la norma violata e la personalità del reo.


1976 - Minori e tossicomani: due ipotesi di non applicabilità della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 [Nota a Sentenza]
Pighi, Giorgio
abstract

Si annota favorevolmente Cassazione penale, prima sezione, 27 novembre 1973, secondo la quale le misure amministrative di prevenzione della Casa di rieducazione e della libertà controllata, previste dalla legge minorile (R.D.L. n. 1404/1934), sono le uniche applicabili ai minorenni che manifestino pericolosità sociale, avendo carattere speciale rispetto a quelle previste, in generale, dalla legge sulle persone pericolose n. 1423/1956. Le misure duisciplinate da quest'ultima legge, conseguentemente, sono inapplcabili ai minorenni. Ad analoghe conclusioi deve pervenirsi, conseguentemente, dopo che speciali misure di trattamento sono state previste nei confronti dei tossicodipendenti con la legge n. 685/1975. E' incerto l'orientamento giurisprudenziale sull'applicazione della legge n. 1423/1956 nei confronti delle persone che esercitano la prostituzione (prevale l'orientamento favorevole per il foglio di via obbligatorio).